Page images
PDF
EPUB

Ma benchè tra di lor fembrin confufi,
Alcun dirà, che niun di loro esiste?
Il bianco, e il nero unifcanfi tra loro,
E ful lavoro fian con arte fparfi;
Lafciandoti ingannar dalle apparenze,
Oferai foftener ch'ivi non fono?

Se l'ingegno fi fpofa a tal chimera,
Il cor l'impon filenzio, e vi ripugna.
V. Appena agli occhi noftri ei fi prefenta,
Qual odiofo moftro il vizio appare.
Ma quefto primo orror col tempo fcema,
E la fua vifta ci fconvolge meno;
Indi fedotto il cor con lui fa lega:
L'Uomo allora del vizio a fuo talento
Fiffa i confini, e dal capriccio retto,
Non più dalla Ragion, biafima, e loda;
Nè mai volto a fe fteffo, in fe non vede
Quegli ecceffi, che in altri egli condanna;
Così fotto la Zona Boreale

Degli Aquiloni impetuofi in faccia
Il Lappon fi fortifica, e s'indura ;
Nè riputando d' effere infelice,
Un più rigido Ciel fi finge altrove.
Di rado avvien, che alcun fpinga all'eftremo
Il vizio, o la virtù; nel cor divifo
Soglion del pari efercitar l'Impero.

Qual vi è tanto malvagio, in cui non fplenda
Di onore, o di bontà qualche barlume?
Quel faggio, che tra i lacci amor ritiene,
Non ha forfe vergogna di fe fteffo?
L'Uomo non è, che in parte o trifto, o buono:
Tra i varj affetti l'animo agitato
Tra 'l vizio, e la virtù muovefi in giro,
E dall' odio all' amor paffa a vicenda.

O fia ftolto, o fia faggio (d), ogni Uomo agifce
In vifta del fuo comodo privato,
M 2

E

e

(d) La propofizione del noftro Autore è rettiffima. L'agire in vita del proprio bene è confeguenza dell'effer Uomo. Non vi è altra differenza fu ciò tra i faggi, ed i reprobi, che quefti fon fedotti da un falfo bene, a cui tendono, dove che gli altri hanno in mira unicamente il vero, e reale; che gli uni fono ftrafcinati dal la concupifcibile a foddisfare le paffioni, ed i fenfi, e gli altri trovano il loro piacere nelle azioni giuste nella virtù; che la ragione, e la legge (quella fcritta nel cuor degli Uomini dalla Natura) è fcorta ai primi nel ricercare il loro utile, ed ai fecondi ferve di guida il nudo vantaggio feparato da qualunque confiderazione al proprio dovere. S. Agostino fi fa l'obiezione = In qual forma poffa dirfi, che i Santi, nel fubire le aufterità, e fovente il Martirio, agiffero in vifta del proprio bene. Non è difficile a fcioglieri un tale obietto. Il bene eterno dell' altra vita era l'oggetto, che gli fofteneva in quei penofi riscontti, dunque agivano in vista del proprio comodo. Buon per effi, che un tale oggetto, non era punto chimerico, come lo era per la maggior par te quello di tanti fuperbi Filofofi, che reputandofi poffeditori della fapienza, e della impaffibilità (mentre fe ne trovavano infinitamente lontani ) facevano loro delizia la folitudine, le aftinenze, e gli ftenti, attirandofi per tali impofture la venerazione dei femplici, fcopo_anch' effa dei loro artifizj.

Parrebbe, che fe ad ogni azione fi dà per fine il privato comodo, conveniffe anco dire non darfi al Mondo virtù morale. La ragione di quefto obietto fi è, poi. chè escluso il proprio intereffe niuno vorrebbe esser probo.

[ocr errors]

La diftinzione fatta di fopra fra 'l bene onefto, ed il pravo, fra la ragione, ed il capriccio fcioglie pienamente quefta difficoltà.

Con una tal diftinzione fi rifponde ancora alle cavillazioni di alcuni, che hanno pretefo sbandir dalle focietà la virtù civile, la quale altro non effer pretendono che un commercio dell' amor proprio. Non negherò,

che

E fenza che vi penfi, a paffi eguali
Al bene univerfal tende ciafcuno:
Della malizia ifteffa in quefta guifa
Fa, che fervan gli sforzi a sì gran fine
Della Natura l'Arbitro Supremo,
Le più orribili trame, e più maligne,
Il capriccio, l'errore, la follia,
I difetti del core, e della mente.
A tal uopo in ciascuno Iddio ripofe
Qualche pregevol debolezza, e volle,
Che foffe pofta in opra al gran difegno:
Il roffor di piegare alle lufinghe
Di un fedulo amator, nella Donzella
Della fua pudicizia è la difefa:

Di Donna in petto una virtù fevera,
Che altrui fembrar quafi potrebbe orgoglio,
Di un'adultera vampa eftingue il foco:
Un temerario ardir forma gli Eroi :
Talor dell'arti è padre un genio vano;
E s'egli è più fegreto, e delicato
Il cor folleva a più fublime volo;
Da un lucro vil, che gli animi volgari
Innamora e feduce, lo rimove,

E lo defta, e lo volge a degne imprefe.
Con profondo faper l'Eterna cura

Di

che in così definendola effi non colgan nel fegno, ma fempre fi ricade nelli principi medefimi, cioè effer quefto quell' amor proprio ragionevole, e buono, dal quale fono gli Uomini fpinti a ricercare i vantaggi permelfi, e legittimi, e ad aftenerfi dagli abufivi, che le focietà ifteffe regge, e mantiene, ed in vigore del quale ebbero le medefime cominciamento. Che importa, che la giustizia prefa in quefto fenfo altro non fia, che un timor d'ingiuftizia, fe quefto timore è l'anima della Polizia ben regolata, che fenza d'effo non potrebbe fuffiftere ?

Di Quel, che tutto regge, e tutto muove,
I noftri falli in tal maniera adopra
All' ordine del Tutto, e all' ornamento,
Onde fia bello, e fia felice il mondo.
VI. Gli Uomini uno fcambievole foccorfo
Si debbono tra lor; poichè ciascuno
Da fe fteffo impotente è per Natura
Dei fuoi dì, dei fuoi beni alla difefa;
Il Ciel vuol, che l'un l'altro aita porga,
Sian Padri, o Figli, o fian Padroni, o Servi:
Difuniti, fon deboli, e infelici,

Ma fon forti, e felici uniti infieme.
Così ogni Uom dal bifogno ammaeftrato,
O fpinto da fiacchezza, o da paffione,
In vantaggio degli altri fi affatica;
E mentre che anfiofo il fuo procura,
Del bene univerfal più ftringe il nodo :
Indi il tenero Amore, indi la vera
Amicizia deriva, e quel fegreto

Piacer, che dolce a noi rende la vita;
Indi anco avvien, che nell' età cadente,
Quando l'Uomo fi accofta al paffo eftremo,
Senza pena abbandona ogni diletto
Di cui fu già famelico, ed anfiofo;
Nè più trovando in effi i vezzi usati,
Si fa onor d'una Legge inevitabile,
E la vicina morte in pace attende
Mirandola qual fin di fua carriera,
Senza ribrezzo aver, senza spavento,
Ofia decrepitezza, o fia ragione,
Qual chi ftanco del Mar fofpira il porto.
Ma fin che non arrivi un tal momento,
L'errore, quel Tiranno dei Mortali,
A voglia fua la fantasia governa,
E per conforto a noi d'ogni fciagura
Porge dei falfi beni, e non dei veri.
M 3

Fin

Finchè noi refpiriam l'aure vitali, La propria opinione adulatrice, Sempre ingegnofa a toglierci di noja, Coi raggi fuoi le belle Nubi indora, Che ci verfano in fen dei dolci inganni; E dei fuoi gufti, e di fua fcienza pago Ciafcuno ha per fe fteffo un occhio amico. Rivolgendo volumi polverofi

Di e notte, il dotto in fuo ritiro ofcuro Crede d'invidia degno il fuo deftino; E l'ignorante, che fatica aborre, Trova un vero piacer nel fuo ripofo; Il ricco lo ripon nei fuoi tefori Mirando l'avvenir queto, e tranquillo; E del Provido Nume a la paterna Cura affidato l'umile mendico Ad onta della forte ingiuriofa Nella fua povertà vive contento. Vedi il cieco danzar: forfe ei fi lagna, Che al giorno i lumi fuoi fempre fon chiufi? Vedi il zoppo cantar: forfe ei si attrista, Perchè ai paffi il fuo piè fpedito è meno? Ogni mifero è Re, fe il vin lo fcalda; Ogn' infenfato è pago di fe fteffo:

Sogna il Chimico l'oro, e non fi avvede
De i fuoi fantasmi, e dietro a lor fi perde:
E tra i fuoi Carmi, e delle Mufe in feno,
Il Poeta è felice, o fel figura

Anco allor, che cantando egli deplora
L'afpro rigor del fuo deftin crudele.
Vedi tu quel Fanciullo? alle foavi
Leggi della Natura obbediente

Di un traftullo fi appaga, e più non brama
Un niente lo trafporta. Eccolo adulto:
Giochi più ferii, e inutili egualmente,
Forman le fue delizie, e le fue cure.

« PreviousContinue »