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difficilmente si potevano queste attendere da altri per quanto si fosse indefesso lo studio, che s'adoprasse per acquistarle; così Federico non potette mai raggiungerlo, ne pel largo suo disegno, ne pel chiaroscuro, ne per la verità delle sue tinte. Con tutto questo però la nuova maniera da Baroccio intrapresa, piacque assai e gran numero di discepoli egli riunì tanto nel Ducato d'Urbino, quanto nella Marca d'Ancona. Pochi furono fra questi, che il di lui vero spirito ritraessero, ed i più si fermarono ad imitare il suo colorire, ch'è il meno, ed anzi questo medesimo alterarono, usando in maggior dose que' ginapri, ed azzurri, che il loro Maestro aveva adoprati con più economia, dal che venne, che sotto i loro pennelli le carni non apparivano che livide.

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Erano note più che altrove nella Marca le opere, che da Federico si spedivano in Urbino, ed al solo fine di vederle da un punto all'altro della provincia vi si trasportavano gli artisti, gli amatori. Ebbero poi più agio ad apprendere, allorchè Francesco Maria II. Duca d'Urbino circa il 1585, diedesi a far erigere nella Basilica di Loreto una Cappella, per la qual' opera scelse i migliori artefici che nel suo Ducato in allora vivessero. L'architetto e scultore fu quel medesimo Lattanzio Ventura (46), di cui già lodammo la perizia. Federico Zuccheri fu quello che dipinse gli affreschi della volta, a cui fanno ornamento bellissimi stucchi, oltre due storie grandi nel basso, l'una collo Sposalizio della Vergine, e l'altra con la Visitazione di Sant' Elisabetta (47); Ed in fine fu a Baroccio commessa la tela con la Vergine Annunziata. Era costume di quest' artista non colorire mai, ne disegnare cosa, della quale non avesse prima fatti molti disegni dal vero, e all'esercizio di tal costume contribuì l' essersi condotto in questi giorni in Macerata, dove incontrandosi a vedere una legiadrissima donna della famiglia de' Compagnoni, ne prese a fare il ritratto, che ivi lasciò; quindi di quella bellissima imagine si servi per la testa della Vergine, che subito appresso si pose a dipingere in Loreto, ed oltre che riuscì applauditissima (48), ne sentì egli stesso tale compiacimento, che reputava questa sua Annunziata sopra tutte quante

le opere ch' egli formò (49); a maggior sodisfazione poi oltre al ripeterla per la Maestà di Filippo II. di Spagna (50), e per una Chiesa di Gubbio (51) ne incise anche una carta, che và attorno di sua mano. A simile lavoro altri ne potrei aggiungere, che nella Marca eseguì, ma furono essi già ricordatì, e descritti da Baldinucci, da Bellori, e da Lazzeri, per cui sarebbe inutile il ripeterli. Uno soltanto voglio qui richiamare a memoria, come quello che Baroccio fece per Macerata allogatogli da una Margarita di mia famiglia, la qual donna rammento con reverenza, come piissima, e come bencfattrice delle nostre arti, avendo lasciato alla sua patria un bel monumento di queste (52). Per dire dunque del quadro narrerò, che fu esso nel maggior' altare della chiesa dei Padri Cappuccini, e mostrava la Vergine concetta glorificata dagli Angeli ; sotto San Gio: Battista che addita San Francesco, San Bonaventura, e Sant' Antonio di Padova; figure tutte, che tenevano d'una risoluta maniera, Resse al suo posto tal' opera fino al 5 luglio del 1799; giorno il più tremendo di quanti mai apparirono, da che la mia povera patria ebbe esistenza. Fu esso giorno d'eccidio, di sacco, e di rubba, e fu in fine per ordine d'un Pontavice Capitano delle armi Francesi, che s'incendiarono i Conventi, e le Chiese dei Minori Osservanti, e dei Cappuccini, e così anche il quadro di Baroccio fu preda delle fiamme (53). Cose tutte, che io ricordo con orrore!

A terminare pertanto questa narrazione concluderemo, che qualora sia incontrastabile che nelle opere di belle arti l'idea della preminenza non da altro si tragga con verità, che dal confronto del merito relativo, s' ottenne questo coi mezzi finora esposti. Quei lavori, che quì si videro primacchè gl' indicati maestri somministrassero nuove idee, ebbero tutti altissima reputazione; cessò, o decadde questa quando col confronto si riconobbe, che ora soltanto avevono le arti del gusto toccato quel punto d' clevazione, che volendo vieppiù innalzare correvano rischio di fare dei passi retrogredi, e capovolgersi con tanto peggior caduta, quanto più excelso si volesse il volo tentare.

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Colla stazione del Pintoricchio s' ottenne un disegno più semplice e corretto, ed una più delicata espressione, non meno che una maggiore nobiltà e gentilezza di quella, che prima si conoscesse; con l'altra di Cola un tingere più forte e risoluto; al Lotto siamo debitori d' averci indicato il modo d' ammorbidire e coreggere la secchezza dei quattrocentisti, oltre quella pastosità, forza di colorito, che impresso aveva per le opere de' suoi Veneziani. Tibaldi col suo altissimo magistero insegnò come trattare si dovevano gli scorti e le mosse, e fece vedere a qual sovrano ardimento giungesse la sua imaginazione; ed a coreggere coloro, che avessero preteso di far lusso d' eguale dottrina, e che per forza d' ingegno si proponessero emularlo senza riserva, vennero i Coda, i quali tenendosi a quella semplicità, che fu caratteristica del loro maestro il Ramenghi ne allontanarono l'attentato. II Baroccio in fine tentò, e riuscì in una nuova maniera, ma coloro che la grazia di costui, la quale al pari di quella di Coreggio vollero imitare, caddero pur troppo in ismorfie, ed in sconcezze ridicole, e ad evitarle molta accuratezza, ed avvertenza si sarebbe dovuta usare; ma trascurandola si decadde, e questa fu la prima pietra, che scossa diede opera alla distruzione dell' edifizio.

NOTE

E DOCUMENTI.

(1) Vasari. Tom. VI. pag. 250.

253.

(2) Orsini Baldassare. Vita, elogio, e memorie del pittore Pietro Perugino, e degli Scolari di esso— (3) Lanzi. Tom. I. pag. 366.

-Perugia 1804 pag.

(4) Cola Filotesio nacque nella terra D'Amatrice sul finire del secolo XV. da parenti di bassa condizione, poichè in sua famiglia si esercitava l'arte dello scarpajo nel 1663.

Così verificandosi dal più antico registro del Municipio di quella terra.

(5) Vi ha l'epigrafe COLA PHILOTESIUS MDXXVII. (6) Tanto nell' uno che nell' altro lasciò il proprio nome. (7) Sotto vi scrisse DE PHILECTESCHIS EXCELLENS COLA MAGISTER PICTOR AMATRICIS NOBILE PINXIT OPUS MDXIII. Questa tavola esistette fino al 1826 nella Parocchiale di Fulignano provincia d'Ascoli, e venne quindi comprata Card. Fesch; ora vedesi in Roma nella ricca galleria di questo porporato.

(8) Lanzi. Tom. II. pag. 310.

dal

(9) Dalle memorie, che si hanno nella terra D'Amatrice, delle quali notizie ho debito al sig. Pietro Leopardi di quel luogo, In un bollario della curia vescovile di Ascoli al fog. 121 esiste un' atto del 9 Settembre 1523, in cui si dice.

Magister Cola de Filatichis pictor de Amatrice Cives, et habitator Asculi.

(10) Vi è scritto nel grado FACTUM EST MDXIV.

PIA CIVIUM DEVOTIONE

(11) La parte superiore della tavola, in cui era l'Assunta rimase lungamente in un corridojo del Convento. Così narra Orsini (Guid. d'Ascoti pag. 45 ). La parte inferiore fu venduta l'anno 1824, e venne collocata nella Pinacoteca Capitolina nel 1825. Vedi Tofanelli Agostino Descrizione delle pitture, e sculture, che si trovano nel Palazzo di Campidoglio 1825.

(12) Lanzi loc. cit.

Nella parte superiore della tavola scrisse l'artista COLA AMATRICIANUS FACIEBAT.

Roma

(13) Malvasia Felsina pitt. Tom. I. Par. II. pag. 372, (14) Cantalamessa Carboni. Mem. dei Letterati, ed Artisti

ascolani

pag. 150.

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Si deve al caso la recente scoperta fattasi di varj affreschi di Cola nella Chiesa di Santa Margherita d' Ascoli, ove trattò più storie della passione di Cristo. Furono questi coperti di calce allorchè si modernò la Chiesa, ed ora avendone presa cura anche il Governo, si và a poco a poco scoprendo l' intonaco.

(15) Vasari. Tom. IX. pag. 332.

De Sandrart. Joachimi. Accademia Nobilissimae Artis Pictoriae Norimbercae 1633 Lib. II. Part. II. Cap. IX. pag. 133.

Il Feudo dell' Amatrice l' ottennero da Carlo V. i Vitelli in premio delle tante loro sceleratezze commesse a Firenze ne' tempi di Cosimo, come riferisce Carlo Botta. Storia d'Itala continuata da quella del Guicciardini fino al 1789 Parigi 1832 Tom. II. Lib. II. pag. 215.

(16) Andreocci Giuseppe. Breve ragguaglio di ciò, che in genere di b. a. si contiene di più prezioso in Città di Castello Arezzo 1829 pag. 23.

(17) Le pitture che narra Vasari facesse costui in Norcia perirono nel terremoto del 1789, il qual flagello infierì moltissimo in detta Città.

(18) Vasari loc. cit.
(19) Vasari loc. cit.

Ridolfi. Vite dei pittori Veneti Tom. I. pag. 128. (20) Tassi Conte Cav. Francesco ri, scultori, ed arch. Bergamaschi

pag. 129.

(21) Vasari Tom. VII. pag. 29.
Guida d' Ancona pag. 23.
Lanzi. Tom. II. pag. 64.

Maria. Vite dei pitto

Bergamo 1797. Tom. I.

(22) Vi scrisse LAURENTIUS LOTTUS MDXII., oltre una marca composta d' un tau con due Campanelli posato sopra d'un cerchio, che sembra una ruota.

Baldassini Girolamo stor. di Jesi pag. 349, e 355. (23) Nella tavola colla visita di S. Elisabetta si legge L. LOTTUS.

Dome.

(24) Vi si legge con qualche stento a piedi della tavola il

(25) Tassi. Op. cit. 126. 129.

Ridolf. Tom. I. pag. 128.

Questa tavola eseguita per la Chiesa del Carmine di Venezia fu ancora celebrata dal Lomazzo Tempio della pittura pag. 158).

Ópera assai stimata di Lorenzo Lotto è pure la tela col S. Antonio esistente nella Chiesa di S. Giovanni, e Paolo di Venezia, come lo è finalmente l'altra collocata a lato della porta maggiore della Chiesa di San Jacobo dall' Orio, dove vedesi la

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