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DEI PITTORI

CHE NELLA MARCA SEGUIRONO LA MANIERA

DI PINTURICCHIO E DI RAFFAELE.

CAPITOLO XVI.

Να

narrare che Bernardino di Betto soprannominato il Pinturicchio prese stanza per vario tempo in Sanseverino, noi dicemmo servirsi egli di tale occasione per addestrare ch'il volesse, nell'arte ch' esercitava.

Molti dovettero essere quelli, che profittarono del suo magistero, dandone ragione le dipinture di quest'epoca, che ancora rimangono in quella Città, dove si ravvisa uno stile, che da quello del Pinturicchio molto non si discosta.

Ma trattandosi che ufficio nostro è il dire ciò che di certo si ha tenendoci lontani da quello, che soltanto conghiettura apparisce, noteremo, che alla scuola di Bernardino furono i Fratelli Antonio, Giangentile, e Severino, i quali ebbero prima ad apprendere la dipintura dal loro Padre Lorenzo di Maestro Alessandro, che in quest' arte (secondo dicono le cronache municipali,) portossi con onore, allorchè specialmente ebbe a fare nella sala del Magistrato nel 1478 la figura simbolica della giustizia (1), meglio quando fu ad esso affidata nel 1481 l'imagine del Beato Giacomo della Marca, (2) la quale tenevasi generalmente in tale venerazioue, che si vedeva sempre ovunque i pubblici negozj si trattassero, tanto a' suoi benefizj furono grati i nostri. Che merito avessero que' dipinti, non giunsero fino a noi per deciderne ; the Lorenzo peraltro non avesse grande stima di se medesimo è prova l'affidare che fece la direzione de' suoi figliuoli a Bernardi

e nel tempo stesso ospite l'accolse; e morendo poi Lorenzo

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continuò ad esserlo di Giangentile (3). Una tavola dipinta, in cui lavorarono i Fratelli Antonio e Giangentile vedesi tuttora nel nuovo Duomo di Sanseverino, ed in essa ebbero a rappresentare la Vergine in gloria, ed al di sotto San Martino, chè taglia un lembo della veste, per farne dono ad un povero; ai lati i Santi Pietro, Giovanni Battista, ed Agostino. Strana è la composizione, poichè non può adattarsi con soggetti, che vissero in epoche tanto lontane le une dalle altre, e che non vi figurano isolati come prima da molti si praticava, e da alcuni in questi tempi. Languido è il colore, e del Maestro appare che poco profittassero; strana poi piucchè ogn' altra cosa è l'iscrizione, che a piedi del quadro essi lasciarono, dove beffandosi di coloro, che l'opera disprezzassero, scrissero, che a singolare tenzone li chiamavano (4). Non può dirsi che meglio si portasse Giangentile dodic' anni dopo, quando ebbe a colorire a fresco l'imagine di Santa Maria di Pescara; che poi si disse de' Lumi per un prodigio avvenuto e che trasse quelli di Sanseverino ad eriggere a quest' Imagine un sontuoso Tempio (5). Frà mediocri pertanto egli si rimase, finchè ai 19 di decembre del 1576 passò da questa vita (6). Del terzo frå i Fratelli che nomossi Severino, non abbiamo altre notizie, se non di avere anch'esso esercitato tal' arte più a Roma che altrove, ed ivi dovette terminare di vivere assai vecchio (7). Nulla più di questo sappiamo di un Giovanni di Benedetto, che nel 1519 era ad Antonio e a Gentile nella scuola compagno; ed in fine lo fu anche un'Anton Jacopo Acciaccaferri. Cosa si valesse quest'ultimo lo mostra un dipinto a tempera, che tuttora esiste nel coro dei Padri di San Francesco, dove dando in bizzarra invenzione dipinse l'Eterno Padre, che seduto tiene in mano l'imagine del Figliuolo crocifisso, mentre lo Spirito Santo in forma di colomba gli è d' un'orecchio. Ai lati i Santi Cristoforo, e Francesco, oltre un devoto genuflesso (9). Un tal modo di comporre lo mostra più seguace degli antichi, e del Maestro non adottò neppure quel suo stile leggiadro e svelto, tenendosi anzi alquanto al grossolano spe

appresso

cialmente nelle estremità. Noi pertanto nel parlare di questi artefici

ad

non ne potemmo lodare le opere; ma il considerarsi d'altronde, che ne restano molte altre, le quali se non indicano il nome di chi le fece, mostrano però la maniera di Pinturicchio, da queste ci sarà dato dedurre l' utilità, che s'ebbe tanto in Sanseverino quanto altrove dal soggiorno che vi fece.

Scrivendo Vasari la vita del suo Gherardi nominò in essa un Adone Doni, ascrivendolo alla disciplina di Pietro da Perugia, e lo disse d'Ascoli (10). Ma le contrarie lezioni dell' Orlandi, del Mariotti, e di qualche altro ci avvisarono dell' errore, in che cadde il Biografo, scoprendolo questi ultimi d' Assisi, dove non meno che a Perugia lavorò, quando al contrario in Ascoli non è punto noto (11). Se dunque non è dato a noi per mancanza di prove di poter stabilire nella Marca col mezzo di quest' altro Pittore una maggiore influenza della scuola del Perugino, diremo fosse essa sufficiente per chiamare anche i nostri pittori a quella riforma, di cui capo si era fatto uno dei discepoli di Pietro cioè Raffaele Sanzio, la cui indole quanto amorosa e gentile, altrettanto nobile ed elevata lo guidava al bello, alla grazia, all' espressione, parte la più filosofica e la più difficile della pittura.

Sorse in Monte Rubbiano piccola terra nella diocesi di Fermo un Vincenzo Pagani, il quale sentendosi animato da un genio straordinario per la pittura, si diresse a Roma, ed alla scuola del Sanzio accostatosi fece forse anch' egli parte di quello stuolo di o imitatori, che accompagnavono il loro maestro per

discepoli,

fargli onore.

Discendeva Vincenzo da antenati onoratissimi, ed i Pagani erano in quella terra nominati fino dall' antico. Vi sedette Magistrato un Tebaldo nel 1326, e fu esso che segnò la pace fra il suo paese, e Fermo (12), travagliatissimi fra loro per contrarie fazioni. Il Padre di Vincenzo ebbe nome Giovanni, e fu anch'esso Magistrato nel 1551. Ne' pubblici registri viene egli detto Maestro (13), e trattandosi che tal denominazione per lo più non si dava che a quelli, che una delle tre arti liberali esercitavano come nobilissime, si può suppore che nella dipintura si coltivasse, ed a

Tom. II.

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farmene certo s'unisce lo scorgere che ne medesimi registri s'aggiunge al nome di Vincenzo un' uguale qualifica (14).

Se il Padre dunque fu realmente pittore dovett' egli essere il primo a mettere in strada il figlio per tale arte, e consideratolo ben' adatto ad inoltrarsi, prese consiglio di mandarlo a Roma, dove avrebbe più, che altrove potuto dare risalto al suo genio. Raffaele Giuntovi Vincenzo, o si pose direttamente alla scuola (il che non può dirsi con certezza, perche le prove mancano ), o fu uno di coloro, che anche senz' avere ricevuto lezioni da si formandosi celebre Maestro prese la sua maniera ed il suo stile, i di lui modelli, senza divenirne servile imida se medesimo sopra tatore. Se anzi dovremo toccare dei lavori, che costui fece ne primi tempi, duopo è riconoscerlo più ammiratore di Michelange lo, che diligente seguace di Raffaele, ed a ciò forse l'indusse il vedere quanto più la fortuna arridesse negli ultimi anni della vita del Pontefice Leone ai discepoli del Buonarotti, in confronto degli altri di Raffaele. A quest'ultimo partito noi lo vedemmo deciso, allorchè si disse essere sua la composizione e suo il disegno dell'affresco dell' aula capitolare de Padri di San Domenico di Rieti (15). A dipingerla concorsero anche altri, così deducendosi dalle differenze dei metodi, che vi si scorgono; e che fossero essi della argomenteremo ancora da quello scuola del Sanzio, oltre i modi ne disse Vasari medesimo, avvertendo, che morto il Pontefice Leone diverse compagnie di pittori si soțirassero da Roma, dove tanto pei contagj, che per essere privi di protezioni, e di mercedi vivevano male, e quindi diffondendosi per le provincie trovarono in esse quest'epoca perciò, ed a quello, che mancava loro nella Capitale. dipinto di Rieti, dove Vincenqueste circostanze noi ascriveremo zo diedesi a rappresentare la finale catastrofe dell' universo, sicchè la scena terribile corresse attorno ad un soggetto supposto a seconda degli angoli delle pareti, e del grand' archivolto a sesto acuto con pari lunette, pratica che altrove lodammo.

qua

La parete di mezzo, ossia di fronte presenta il concorso delle genti al giudizio con la barca di Caronte, spesso discorrente in

TEN

simili rappresentazioni del tempo antico della pittura. Nel mezzo v' ha il gruppo degli angeli con le sette trombe, aventi in mano aperto il libro, ove a lettere d' oro erano segnati alcuni testi della Sacra Scrittura, che ora sono cancellati. Frà la turba, che accorre molti hanno abito monacale, e sono le cocolle, e gli scapularj dei Cisterciensi (16). Sù d' una rupe havvi genuflesso un devoto, che offre verosimilmente il ritratto di colui, che contribuì alla spesa. Nella parte a destra si ha la divisione degli eletti anelanti alla celeste patria; e frà questi sembrò all' eruditissimo Cavalier Reatino Angelo Ricci di riscontrarvi l'imagine della Fornarina tornata all' essere di perfezione, facendo mostra di tutta intera la figura al naturale giacchè non è

• La vergogna dove la colpa è ignota. (17)

Sono a questi d'intorno angeli bellissimi, che festeggiano con suoni e con canti quelle anime beate, versando su di esse un nembo di fiori. Dal disegno, che io vidi di questi affreschi (18), frà molti altri pregj ebbi anche argomento di sempre più convincermi, che ben diversa è la maniera, con cui trattano parecchi moderni l' infantile età, da quella che già praticavasi dagli antichi pittori. I primi assumono quasi sempre nel disegnare i fanciulli la più tenera infanzia, onde fanno loro la testa assai grossa, ed altrettanto le mani e i piedi, non che molto rilevante il ventre, quali infatti sono i fanciulli nati da pochi mesi. Gli antichi al contrario (e frà gli antichi considero quelli, che dipinsero in Rieti ) quando alla convenienza non disdicesse, segnavano ne' loro putti quelle proporzioni, che a un dipresso convengono a fanciulli dopo compiuto il primo lustro, ed incominciano le belle forme umane a succedere a quelle che risentono ancora del feto indigesto, e non isviluppato ; età eziandio suscettibile di maggiori grazie, perchè l'intelletto comincia pure a svilupparsi, e dà luogo a maggior espressione. Sono perciò questi angeli sì belli, che bene dinotano quanto egli applicasse a dargli quella perfezione, che al loro carattere ed alla natura

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