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(35) Catalogo estratto dall' ufficio del Demanio del Dipartimento del Musone del cessato Regno Italico.

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(36) Vi scrisse HERCULES RAMAZZANUS ROCH. PING. ANN. DNI. MDLXXXXVII.

via

(37) Abbondanzieri. Le scienze, e le arti ravvivate in ArceJesi 1752 pag. 156.

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La pianta d' Arcevia fu poi fatta incidere da Mons. Angelo Rocca come scorgesi dalle lettere originali di detto

Prelato.

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(38) La famiglia Gasparini fu delle patrizie della Città di

Macerata.

Gasparini Bernardo fu Prefetto delle strade nel 1582. Gasparini Cola fu Prefetto delle Grasce nel 1583. Furono priori del consiglio di Credenza Giuliano e Giov. Battista Gasparini il primo nel 1597, ed il secondo nel 1615, e questi fu l'ultimo di tal famiglia, sapendosi estinta circa il 1620.

225.

(39) Lanzi op. cit.

Ticozzi Stefano. Dizionario dei pittori

(40) Lanzi. op. cit.

(41) Lanzi. op. cit.

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Tom. I. pag.

(42) La storia della traslazione della S. Casa di Loreto scritta da Paolo della Selva fu riportata per intiero dal Bartoli nel libro, che intitolò Glorie maestose, e de' menzionati ritratti si veda il Cap. III.

(43) Torsellino. Lib. V.

Serragli op. cit.

Cinelli. Mss. cit.

Guida di Loreto pag, 16.

(44) Murri. Storia della S. Casa di Loreto Art. XVI.

pag. 156.

(45) Guida di Loreto. pag. 141.

Il Murri nelle sue dissertazioni.

(46) Dalla Fraternita dei Falegnami fu fatto eseguire nel 1570. La cappella dov' era collocato in San Francesco apparteneva alla famiglia Ferri. Distrutta la chiesa fu trasportato il quadro nell'altra di Santa Caterina, ora della Pia unione delle sac. stimate.

Civalli, Vis. triennale inserita nelle antichità picene nel

Tom. XXV. pag. 63.

(47) Civalli Lanzi loc. cit.

Macerata

Fu questo quadro dipinto a spese della famiglia Mozzi di Vedi Vico Descrizione della Chiesa di Santa Maria delle Vergini pag. 46.

(48) Nel 1593 ai 14 del mese di maggio vedendo il Sig. Ciovanni Battista Ciccolini, che la congregazione dei Bifolchi riDovava la cappella maggiore della Chiesa delle Vergini risolvette

Tom. II.

11

anch' egli a tenore del testamento di Ciccolino Ciccolini suo Padre rogato da Mario Antonio Tomassini sotto il 12 agosto 1591 di fabbricare anch' esso la Cappella ordinata dal testamento medesimo, ed il 14 maggio del 1593 fece l'accordo col pittore Giuseppe Bastiani da Macerata di dargli in più volte il da naro convenuto, con patto di voler l'opera compiuta dentro il mese di settembre del seguente Anno 1594. Il che però non si mantenne dal pittore, così rilevandosi dall'indicazione, che leggesi a piedi della tavola surriferita, dove scrisse Giuseppe Bastiani f. 1600.

Orsini (Guid. d'Ascoli pag. 22) ascrive a questo medesimo Artista, che dice, non sò con qual fondamento discepolo del Pomarancio) i lavori a fresco, che esistono nella piccola Chiesa di San Biagio d'Ascoli. Ma trovansi essi malconci in modo da non potersi proferire giudizio veruno.

(49) Era questo quadro destinato a trasportarsi a Milano nel 1809.

(50) Lettere pittoriche di Baldassare Orsini ad Annibale Mariotti pag. 16.

In un quadro del Bagazotto colla data del 1555 trovasi aggiunto agens Anni viginti.

(51) Vi scrisse Camillus Bagazotus Camers faciebat 1573.
(52) Vi scrisse SIMONE, E GIOV. FRANCESCO DA

CALDAROLA P. MDLX.

(53) Si legge nel quadro

SIMONE, E GIOV. FRANCE

SCO DA CALDAROLA PINX, A. D. MDLXIX.

(54) Vi segnò SIMON DE MAGISTRIS DA CALDAROLA P. MDLXX.

(55) Lanzi. Op. cit. Tom. II. pag. 130.

(56) La tela, che vedevasi in San Pietro Martire in una Cappella della Fraternita di San Rocco sarà trasportata nella Confessione del Duomo di Mont' Alto.

Anche nella Parrocchiale di Monte Fortino replicò il medesimo soggetto del Rosario, ed è una di quelle tele, che più onorano quest' artista.

I PP. dell' Oratorio di Sarnano hanno nel loro cenacolo un quadro con l'ultima cena di Cristo, il quale decade in cofronto del suriferito di Monte Fortino.

(57) Orsini. guida d' Ascoli pag. 44.

Lazzari. Ascoli in prospettiva pag. 59.

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(58) Vi scrisse SIMON DE MAGISTRIS CALDAROLENSIS PICTURAM, ET SCULPTURAM FACIEBAT ANN. DNI. MDLXXXXVIII.

(59) Nel quadro si legge

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ROLA A. D. MDLXVIII. DURANS PINXIT.

(60) Lanzi, op. cit. Tom. II. pag. 135.

(61) Menicucci Francesco op. cit. inserita nel Tom. IX. delle Antichità Picene a pag. 12.

Lanzi op. cit. Tom. II. pag. 136. (62) Compagnoni Mons. Pompeo.

Vescovi Osimani Tom. IV. pag. 38.

Memorie della chiesa,

e

(63) Registro N. 50 dei pubblici Consigli della città di RipaIranzone sotto il 13 decembre 1590.

lani

Cantalamessa Carboni. Dei Letterati, ed Artisti Asco

pag. 150.

(64) Sandrart Joachimi

Lib. II. Cap. XX.

pag. 184.

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(65) Cinelli. Giunte alla Biblioteca Volante.

- Roveredo 1786.

pag. 125.

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Non

on v' ha dubbio, che ogni eccesso per quanto ad ottimo fine diretto non porti sempre a dannevoli conseguenze.

Se in un tempo le arti deperirono per mancanza di protettori, un contrario avvenimento ora concorre a ridurle ad un fine uguale, e fors' anche peggiore. Cominciò nel Pontificato di Gregorio XIII. a nascere in questo Papa un grandissimo desideriò di chiamare a concorso quanti pittori di qualche vaglia avesse lo stato, a fine d'ornare le nuove fabbriche, che da esso erette si erano in Roma, e volle altresì, che ne dipingessero anche molte delle vecchie, che nude o malconcie pel tempo si rimanevano. S'aumentò tale passione in progresso, e Sisto V. a quei pittori, che vi trovò, ne aggiunse degli altri, impiegandoli tutti a fare opere a fresco, le quali se servirono a vantaggio pecuniario degli artefici, crano dall'altro canto di sommo danno all'arte medesima perchè pagandoli largamente voleva lavorassero con tanta fretta, che si trovarono obbligati ad abbandonare gli usati metodi per operare invece senza molto studio preventivo, onde ne venne poi il dipingere di pratica, e di maniera, che fu quindi in questo periodo generalmente adottato, perchè più facile, e più atto ad abbagliare. Se quasi ogni paese dello Stato romano somministrò individui a questa leva forzata, non fornì minori soggetti la Marca, la quale mandando i suoi alla Capitale coadjuvò senz'avvedersene anch'essa alla rovina anzidetta. Il primo, che mi si presenta è un Pasquale Cati da Jesi, che avanti di mettersi a quei faticosissimi lavori, a cui lo destinù

Papa Gregorio XIII. erasi acquistato nome di buon pittore; dopo si perdette frà la folla dei compagni, e perciò è oggi uno di quei artisti che Roma ha dimenticati, e che quasi più non considera; tuttavia se attentamente ci facessimo ad osservare quelle storiette colla passione di Cristo, che dipinse in una delle logge vaticane, dove il Padre Danti Domenicano delineò la sua cosmografa (1) vi si travederebbe un certo sapore nel colorito, ed una tal quale facilità d'invenzione da non meritare certamente d'essere a simile obblivione condannato.

E non poteva di fatto si presto decadere il nome di un'artefice, che prima d'essere anch'esso condotto alle opere de' pontificii palazzi, aveva ornato diverse Chiese di Roma con dipinture uniformi al gusto di quel tempo, frà le quali risulta principalmente il grande affresco del maggiore altare della Chiesa di San Lorenzo in Panisperna sul colle viminale (2).

Figurovvi il Santo titolare in atto di ricevere il martirio, occupando per questa storia tutta l'intera parete. Vi si vedono da un lato molti carnefici attenti ad attizzare con lentezza il fuoco secondo i comandamenti di Valeriano; dall'altra banda folti gruppi di cristiani spettatori devoti delle maraviglie di Dio; e nel mezzo il Santo tollerante quel penosissimo supplicio con una pazienza ed ilarità ammirabile, spargendo raggi lucidissimi, certo presagio di prossima corona; cosi facendo s'attenne il pittore a ciò, che di tal martirio narra Prudenzio; ma se fu della vera storia seguace, sarebbe a desiderarsi, che avesse egualmente imitato il vero in quello che ha di più mirabile, e dilettevole. Esso però era già prossimo ad entrare nella classe dei manieristi, ed anche qui se ne riconosce il preludio per le forme delle figure, per le mosse, pel partito del chiaroscuro, e del colore. Dipingeva a Roma in quel tempo, in cui purtroppo poteva ripetersi il concetto d'Eufranore Istmio sul Teseo di Parrasio Theseum apud Parrhasium rosa pastum esse suum vero carne » (3) con che credo intendesse Eufranore di tacciare di manierato il Teseo di Parrasio

"

Co

me impastato d'una carnagione più di colore di rosa, che di vera

carne.

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