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cui le opere sue non ebbero invidia a quelle di Giorgione, che tentava specialmente imitare. Vorrebbero parecchi biografi, che la partenza del Lotto dai paesi Veneti si dovesse soltanto stabilire nell'ultimo di sua vita (19); ma io al contrario opinerei, che due stazioni egli facesse nella Marca, l' una nel fiorire di sua età, e quindi vi ritornasse in sua vecchiezza, così addittandomi i molti lavori, che ancora ivi rimangopsi e che questi due estremi realmente toccano. Potrebbe da taluno dirsi, che molti di quei quadri, che si fecero da esso nel principio del secolo XVI fossero stati trasmessi da Venezia, o da altro luogo, ov' egli a que' di viveva; ma è a riflettersi che oltre l'uso adottato in questo spazio di tempo di trasportarsi i Pittori il più delle volte da un luogo all' altro ad esercitare la loro arte, anche più a presumersi che egli si conducesse nella Marca dove ancora non si era sparsa tutta quella luce, che in altri paesi già risplendeva. Ed a maggiormente accreditare questa conghiettora m' assiste il Tassi (20), il quale dice: che Lotto in varie Città della Romagna andò ad operare, ed in Ancona fermossi, dove essendogli stata allogata una tavola per la chiesa di Sant' Agostino vi rappresentò la Vergine col figliuolo in grembo, coronata da due graziosissimi Angioletti, ed in questa che ora vedesi nella chiesa di Santa Maria di Piazza si scorge, che il nostro pittore preso aveva già del fare di Giorgione misto a quello del vecchio Palma, che sempre si suppose suo Compagno e competitore; finchè come avverte Lanzi, La-Combe e turbò la cronologia per l'apocrifa notizia, che il Lotto terminasse un quadro rimaso imperfetto per la morte di Tiziano l'anno 1576 (21). Che il lavoro eseguito in Ancona eceitasse i prossimi abitanti di Jesi a chiamarvi Lorenzo è cosa ben, facile a dedursi. Fu pertanto nel 1512 ch' egli fece per la chiesa di San Fiorano una tavola di mezzana grandezza esprimendovi la sepoltura di Cristo. E dopocchè l'ebbe terminata, i Frati Minori che quella chiesa ufficiavano, lo richiesero onde in un' altra tela figurasse l'istoria di Santa Caterina Vergine e Martire; quando cioè la Santa resa immobile, molti la tirano invano per condurla ad un lupanare,

e nella pradella in piccoli riquadri, quando la Santa prega

sepolcro di Sant' Agata, quand' è d' innanzi al Prefetto, ed in fine in più minute figure, e con diversa composizione replicò il soggetto principale del quadro medesimo (22). Compiuta ch' ebbe per ques'i Frati anche un' Annunziata, dividendone la storia in due piccole tavole, si condusse ad operare nella chiesa detta di San Francesco in Monte, dove in due altarini con vaga e graziosa maniera dipinse in uno la visita di Sant' Elisabetta, nell' altro la Vergine col putto avente ai lati San Girolamo, e San Giuseppe (23). Ma se questi lavori offrono del Lotto bei modelli, in quanto furono i dipinti di quell' epoca, in cui saviamente osserva Lanzi, che più si distinguesse, duopo è il dire, che di molto li supera un dipinto, dove Lorenzo agitando nell' animo il sublime e la grazia, ogn' altra cosa sua, che qui eseguisse sorpassa. È questa una tavola, che tuttora rimane nella chiesa di Santa Maria di San Giusto, dove finge da capo il Calvario, e sotto in un bel gruppo le Marie, San Giovanni, e la Nostra Donna venuta meno; aggiunge da una parte il Vescovo Niccolò Bonafede, che ritratto vivissimo stà a braccia in croce ginocchioni, ed all' opposto lato Angelo giovane bellissimo, cui il dolore quasi bellezza accresce • che addita e compiange l'acerbo caso della Madre Divina (24).

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Qui credo si rimanghino i lavori, che Lotto fece in questa Dua prima dimora nella Marca, giacchè niuno ne conosco che gli uguagli; inferiori riscontrandosi di merito quelli, che al finire di sua vita vi fece. In quest' intervallo però soddisfacendo esso alle preghiere, che gli presentarono i Padri di San Demenico di Recanati dipinse, essendo in Venezia, una tavola che servir doveva pel maggior altare della loro chiesa, e che oggi divisa in parecchi riparti orna il coro, e la chiesa medesima. Vedevasi nel mezzo la Vergine col Figlio al collo, che mette per le mani d'un' Angelo l'abito a San Domenico, con due graziosi putti, che suonano; ai lati i Pontefici Gregorio, ed Urbano, non che San Tommaso D' Aquino, e San Flaviano; nella cimasa espresse il morto Salvatore sostenuto da un' Angelo, ed in piccoli tondi San Vincenzo,

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Santa Maria Maddalena, San Sicismondo, e Santa Caterina da Siena ed in fine nella pradella ( che più non trovasi ) vedevansi figure si graziose, che opportunamente Vasari lodolle come cose preziosissime. E che di quest' opera, ch' egli eseguì circa il 1525 si compiacesse, è a dedurlo nel vedere, che le medesime tracce terne quando nel 1529 diede opera alla tavola per la chiesa del Carmine di Venezia, che fra le cose sue particolarmente encomia con molta ragione Ridolfi (25).

Non stettero molto i Padri di San Domenico di Recanati a dargli nuove ordinazioni, tanto la prima aveva loro soddisfatto, e quindi ad essi nuovamente spedì un' altra tavola, in cui era nel mezzo la Santa Casa di Loreto trasportata dagli Angeli, e da una parte San Domenico che prega, e dall' altra Papa Onorio, che conferma la regola dello stesso Santo. Trovandosi esso non meno Pr questo, che per altri incarichi da nostri ricevuti, da molta gratitudine compreso, lasciò Venezia, e quà se nè tornò, dove fatta prima dimora in Recanati, oltre un San Vincenzo dipinto a fresco per la detta chiesa di San Domenico, diede mano anche ad un quadro per l'altra di Santa Maria di Castelnuovo, figurandovi la trasfigurazione di Cristo, e nella pradella varie storie della Passione (26). Quindi di nuovo si condusse in Ancona richiesto dai Frati Minori per una tavola con l' Assunta, che fece pel maggior altare della loro chiesa. Altresì possano assegnarsi a questa epoca i quadri ch' eseguì l'uno pei Domenicani di Cingoli, l'altro pei Minori Osservanti di Civitanova, ed in fine un terzo per una chiesa nella terra di San Giusto, ove si vedeva un Cristo Crocifisso ; le quali opere sentono di quell' indebolimento di spirito, che uniforme alla grave sua età non poteva che farsi conoscere (27). Fiù che gratitudine eccitollo ancora a qui ritornarsene la devotione, ch' egli mai sempre conservò per la Madre di Dio, e decise gli ultimi giorni di vita a suo servizio dedicare, occupandosi ne' lavori, che destinati gli fossero nella Basilica di Loreto da que' Governatori, che con umanissimi modi altre volte accolto l'avevano. Erano già in quella chiesa due sue tele l' una coi

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Santi Cristofaro, Rocco, e Sebastiano, e l'altra vivacissima con l'Adultera, che oggi rimansi nel Pontificio Palazzo (28); per cui potevano esser certi i Proveditori della medesima chiesa di sempre più accrescerne il decoro servendosi dell' opera sua. Mise egli pertanto mano a fare istorie di figure alte un braccio e minori intorno al coro sopra i sedili de' Sacerdoti; figurandovi la Natività di Cristo, l' adorazione de' Magi, il presentarsi di Cristo al Tempio, ed altre azioni del Signore, e della Vergine. Ed oltre a queste fece due altre storie copiose. Una con Davide quando offriva a Dio ostie propiziatorie, e l'altra con San Michele Arcangelo che combatte con Lucifero, avendolo cacciato dal Cielo. É queste finite non passò molto tempo, che il buon vecchio qui lasciasse la mortale sua spoglia, avendo fino a quel tempo vissuto con quella serenità di spirito, che all' Uomo giusto soltanto Dio riserba. E se finalmente provincia nostra stimossi fortunata nel possederlo come chiarissimo artista, ebbe anche a compiangerne la perdita considerandolo ricco d'ogni virtù. (29).

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Quella devozione pertanto, che trasse Lorenzo a lasciare nella Basilica Lauretana monumenti preziosi di suo valore fu pure quella, che persuase il Card. Ottone Waldeburg Turchses d'incaricare Pellegrino Tibaldi da Bologna a condursi in Loreto, ed ivi a sue spese abbellire con sculture, e dipinture una Cappella (30). Questo pittore era applaudito per le opere, che fatte aveva in Bologna pel suo Mecenate il Cardinale Poggi (31). Prima di occuparsi in esse ogni cura rivolta aveva nella dimora, che fece in Roma, ingrandire la sua maniera, studiando sulle opere di Michelangelo, dal quale è a supporsi, che prendesse anche consigli, e precetti. Può dirsi dunque, che fortunata fosse la provincia nostra nell'ac coglierlo ancora fresco di quei studj, i quali posti sempre a maggior profitto gli guadagnarono in appresso nome e richezze considerabili. Ma per venire a quanto si facesse in Loreto, appena vi fu giunto pose opera ad una tavola, nella quale espresse San Giovan ni Battista nell'atto che sulle sponde del Giordano battezza Cristo. Ad un lato appajono genuflessi due angioletti, che ne adorano il

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mistero, e sono essi sì belli, che fanno travedere quanto Tibaldi avesse fitti in capo que' due bellissimi, che nel battezzo delle logge vaticane aveva Raffaele dipinto. A piedi della tavola ritrattò orante il Cardinale Ottone in profilo, e ve lo colse vivissimo. Le forme delle figure sono gentili, e mostrano nel tempo stesso quell' intelligenza delle parti, che non tanto segnatamente si hanno a vedere. È per ben' attendere a ciò è necessario a chi queste parti esprime per accennarle ove stanno, e come vi siano poste dalla natura, ed a qual uso, sapere più di quello, che nè apparisca il bisogno, ed è per tale ragione che il Tibaldi al pari di Buonarotti seppe adattare le suc vaste cognizioni anotomiche alle idee più tenere e delicate, imitándo in ciò Raffaele, il quale tutta quanta l'arte ell'è, tutta possedeva.

Suppose Malvasia, che un dipinto sì pregevole fosse ito a male, e così ne pensò pure Zanotti, ma invece esso rimase fino al 1790 nel luogo, dove Pellegrino il dipinse, e dopo quest' epoca soltanto venne trasportato prima nel pubblico palazzo, e quindí nel così detto Oratorio notturno presso la piazza, ove anch'oggi Bitimirasi (32). Nella volta della cappella mostrò il Tibaldi nelle storie della predicazione e decollazione di San Giovanni, delle figure piene di disegno, e le dispose ordinatamente, e fra esse eranvi stucchi bellissimi, la qual'arte con pari merito coltivava.

Che tale lovoro appagasse oltre le lodi, che ne fecero gli scrittori contemporanei, ne farà anche fede il vedere, che condottosi in Loreto quel Giorgio Morato Armeno, di cui già si fece cenno, impegnò Pellegrino a seco girsene in Ancona per ivi dipingere una tavola nella Chiesa di Sant' Agostino, replicando quel Soggetto medesimo, che chiamata aveva la sua attenzione in Loreto; al che aderendo il nostro artefice diede opera a quel quadro, che oggi vedesi a mano destra dentro il coro, e che probabilmente fu a quel tempo nel maggior altare sostituito ad altro di Mariano da Perugia, che non piacque. Graziose, dice Vasari, si erano quelle piccole figure, che in buon numero dipinse nella pradella, ma la sola notizia a noi nè rimane, poichè staccata essa dal quadro

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