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secondo l'assertiva del Facio, dipinse il Gentile una cappella, ch'era di padronanza di Pandolfo Malatesta. Però oggi della pittura, e di detta cappella non esiste più vestigio, o memoria (39) essendosi in quella città quasi ogni chiesa rifabbricata dopo il secolo XVI.

È ignoto il tempo e il luogo, per cui il Gentile conducesse a fine quella tavola, che ora esiste nel museo reale di Parigi (40). Soltanto sappiamo che in essa è figurato il Sacerdote Simeone, il quale sotto al peristilio del tempio di Gerusalemme accompa gnato dalla profetessa Anna, tiene nelle sue braccia il divino Infante, che benedice. Egli sta in atto di renderlo alla SSma: Madre, venuta ivi per adempiere ciocchè s' ordina dalla legge. Ella è seguita da San Giuseppe, che reca per offerta due tenere colombe. Altrettanto può dirsi dell' altro quadro descritto da Pillori (41) com' esistente nella galleria Pembroke di Londra, dove dicesi, che Gentile figurasse cinque uomini che vanno tastone fra le tenebre, figura allegorica di una delle sette piaghe d'Egitto, ed infine di quella che sappiamo tuttora esistere nel reale museo di Berlino, nella quale come in sei caselle divisa sopra fondo dorato, vedonsi espressi il natale di Cristo, la pre sentazione al tempio, l'Epifania, la coronazione della Vergine, oltre un ritratto votivo di Monaca (42).

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Dopo aver tanto gloriosamente Gentile operato in diversi paesi d'Italia, ed essere altresì stato con tante distinzioni onora ed in ispecial modo dal veneto Senato, non potè il di lui nome non risuonare ancora alla Corte di Martino V. Pontefice che appunto in quel tempo occupavasi a togliere dallo squallore, ed al deperimento, in cui a causa degli scismi, e delle guerre era Roma ridotta, e le sue fabbriche, ed i suoi ornamenti. Ed in fatto non ebbe appena terminato di far riedificare il portico di San Pietro prossimo a rovina, che rivolse le sue cure al re stauro, ed abbellimento di San Giovanni Laterano (43). La vol ta di quella Chiesa minacciava caduta, e subito restauratasi pensò a chiamare valenti artisti, onde dipingerla. E mal non s'appose

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Papa nella scelta invitando ad eseguire un tal lavoro Gentile
Fabriano, e Vittore Pisanello da Verona, entrambi già loda-
per le opere allora lasciate nella sala del gran Consiglio.
Loconsentirono i due Artisti alla volontà di Martino V., e

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retisi a Roma, si dovettero colà trattenere qualche tempo prima dar mano al lavoro del Laterano, attesochè in quella Basilica savasi allora terminando di adornare con bellissimo mosaico il paimento. Io vorrei supporre, che profittando di questo frattemil nostro pittore soddisfacesse al desiderio degli eredi del ardinale Adimari Fiorentino Arcivescovo di Pisa, che lo richieo di dipingere affresco nell' archetto sopra la seppoltura del Zio nella Chiesa di Santa Maria nuova a lato del monumen→ bretto al Pontefice Gregorio IX.. la Vergine col figliuolo al , e dappresso li Santi Giuseppe, e Benedetto. Che questo into ora perduto, corrispondesse in bellezza a quanti ne fece ostro pittore, ne abbiamo fra le altre certissime testimonianze Vasari (44) il quale ci narra, che osservandolo attentamente sublime ingegno di Michelangelo Buonarroti, soleva dire, Gentile nel dipingere aveva avuta la mano simile al nome. Appena fu dato termine al già indicato mosaico, sgombro Ver tempio Lateranense d'ogni operajo, vi accorsero i due valenti

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a contrastarsi in nn secondo agone il serto della gloria. Papa concorse a render più vago, e ricco quel dipinto, somstrando a larga mano l'azzurro oltremarino, che servì di po alle storie, che dovevano esservi rappresentate. Fra le pali piacque a Gentile di figurare i fasti di San Gio: Battista, Vittore nè effigiò alcuni del vecchio testamento, in ch’ebbe opportunità di far conoscere la sua particolare perizia nel dipingequadrupedi, e volatili. Ma di straordinaria bellezza vennero

Peralmente stimati i cinque Profeti, che Gentile figurò a chiaturo fra una finestra e l'altra, i quali erano con tale maerlevati, che apparivano di marmo a chiunque non li avesse vati con mano. Oltre a ciò in una delle pareti dello stesso pio effigio Martino V. con dieci Cardinali ritratti sì al vero,

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Tom. I.

che niuno li avrebe potuti non riconoscere al primo guardarli.

Con tali opere abelliva Gentile quella eterna Città, quando trasferitosi in essa pel giubileo del 1450. Ruggero Gallico, uomo sommamente perito nelle arti del disegno, osservate che l'ebbe e massimamente quelle del Laterano, volle conoscere il Fabria nese, e lo appellò francamente come dice il Facio il primo fr i pittori italiani.

Non erano ancora condotti a termine i lavori del Laterano che il nostro artista fatto già ottuagenario, e logoro, e stane dalle molte immaginazioni, e fatiche, lasciando sulla terra ind lebile memoria di sua virtù, chiuse entro Roma la sua morta carriera. Io ciò affermo con sicurezza, sebbene non ignori esse vi stati alcuni, i quali abbiano voluto piuttosto, che il Gent morisse in patria, condottosi colà infermo di paralesia; alt ch' ei morisse in Venezia. Ma il Facio di lui contemporaneo per me un' autorità superiore a qualunque altra, e tale autor veggo essere stata preferita ancora dai più accreditati cronici delle Città del nostro Piceno. Il sopralodato Facio (45) toccan de suoi ultimi lavori del Laterano dice espressamente: Quaedi ctiam in eo opere adumbrata, atque imperfecta more praeve tus reliquit. E in un antico manoscritto (46) da me consult s' aggiunge, che le sue spoglie mortali ebbero sepolcro nella Ch sa di Santa Maria nuova, ora ancora detta Santa Francesa R mana in Campo Vaccino de' Monaci Olivetani, ove in biar lapide se ne leggeva la mortuaria iscrizione prima, che que Chiesa prendesse novella forma.

Che un'uomo di tanto merito nell'arte della dipintura uni ancora un'estesissima cognizione dei precetti teoretici di essa, che quelli specialmente o per proprio uso, o per quello de' scepoli dettasse in particolare trattati, a me sembra credibilis mo, e per conseguenza inclino volentieri nell'opinione di qu storici municipali piceni (47), i quali asseriscono, che Gent lasciasse tre trattati nella pittura, il primo intorno all'origine ai progressi dell' arte: I' altro della ragione di mescere i color

erzo del modo di tirare le linee; sebbene tali produzioni non jamo mai la luce, e si hanno oggi come assolutamente perdute.

vogliasi pure contrastare al Gentile tali poduzioni, niuno saprà contrastargli d'aver operato sempre a seconda di quelle stesse de massime dell'arte, che come avverte sagacemente il ConMontevecchio, in progresso di tempo, e di maggiori lumi poi scritte, ed introdotte con tanta filosofia dall' immortale Laardo da Vinci.

Fra i discepoli del Fabrianese, che dilatarono, e perfezionate il nuovo stile da lui fondato dopo i trecentisti, il primo e che sommamente onora il nome di Gentile, si fu Jacopo

lume chiarissimo della veneta scuola, il quale in testimo➡e di gratitudine verso l'immortale suo Precettore (48) oltre all'efallo in profilo in una tavola ( che fu poi uno dei più belli orpati della galleria del celebratissimo Card. Bembo in Padova ) tale e di più, che il nome di Gentile si conservasse in uno di quei afli, che dovevano poi educare nell'arte i Giorgioni, e i Ti45 (49).

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e:Fra gli allievi del Fabrianese, che più si segnalarono colle =re loro è ricordato dagli storici un Jacopo Nerito da Padova, en una pittura a San Michele di detta Città si soscrive suo diTolo (50): Un Paolo da Siena che della maniera di Gentile faFrasi buon' imitatore dipinse diligentemente nella Chiesa di San

ico di Siena due o tre altari, e parimenti un Giovanni da de figliuolo di quel Paolo, che studiò le opere di Gentile,

e

pitture per la Chiesa di San Francesco di Siena, in quella Madonna della Neve, e nella residenza dell'arte della lana (51). Ma inutile sarebbe l'andare più oltre a ricercarne il numero, are i nomi, se Gentile può tenersi a buon diritto il capo di la Scuola de' cinquecentisti.

Il Bocco, che verso la fine di questo secolo scriveva il suo delle bellezze di Firenze, parlando della tavola de' Magi di le esistente in quella Città, disse, ch' era tenuta in veneracome cosa antica, e che dal primo pittore procedeva, onde

era nata la bella maniera allora in fiore. E veramente di ques scuola, giammai in appresso non dirò superata, ma nemineno ugu gliata, può riputarsi per fondatore il Massaccio, sulle cui oper si formarono i Pietri, e i Raffaelli, ed è noto (52) altresì, con il medesimo Massaccio ito in Roma, non diventò grande, che st diando a preferenza, e facendosi ad imitare le opere di Gentile Fabriano già lodate.

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