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si notano principalmente alcuni nativi della nostra provincia; e di questi noi faremo cenno nel seguente Capitolo.

A condurre poi all'apice la fortuna di Maratta avvenne, che il Cardinale Albani antico suo proteggitore, e discepolo nell'arte del disegno, fu assunto al Soglio Pontificale l'anno 1700. Non appena fu Papa col nome di Clemente XI. che d'ogni lavoro da lui ordinato ne commise la direzione al Maratta, e volle che anche Urbino sua patria avesse qualche opera sua.,

Dipinse Carlo, secondo avverte Lanzi, la cupola del Duomo, che popolò di figure, rappresentandovi la gloria celeste, ed il discacciamento degli Angeli ribelli, opera, che non resse molti anni, giacche col terremoto avvenuto in Urbino il 12 di gennajo del 1789 cadde la cupola, ed appena si potettero salvare pochi frammenti dei dipinti, che vi erano, per collocarli nel palazzo degli Albani (28).

Pascoli, e Bellori tacquero questo lavoro, e soltanto si limitarono a narrare, che il Papa commise a Carlo la tela colla Natività da collocarsi nel Duomo suddetto dirimpetto al quadro, che vi esegui Carlo Cignani. Il silenzio di due biografi, che si occuparono delle cose più minute al Maratta spettanti, farebbe dubitare sull' assertiva del Lanzi.

Nel tempo, in cui Roma fu afflitta dal sacco di Borbone, neppure i più riposti santuarj delle arti furono esenti dai danni, cui la malvagità degli Uomini condanna ogni cosa, quando alla ragione si sostituisce il vizio e la scelleragine. Le cammere Vaticane di recente compiute da Raffaele furono anch' esse asilo dei Soldati, i quali senza ribrezzo vi commisero ogni bruttura, ed a cattivo stato le ridussero, In progresso poco, o nulla si fece per riprare il danno avvenuto. A Maratta era riserbato il restituirle nello stato attuale. Fino dall'epoca, in cui regnava Innocenzo XI. andava Esso dicendogli, che se più lungamente fosse procrastinato il restauro che imaginava, si sarebbe accresciuto il danno, ed il pregiudizio di quelle bellissime opere. Si limitò peraltro i' Pontefice ad affidare alla custodia di Carlo tutte le dipinture del

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Palazzo Vaticano, e per tale incarico ottenne d' impedire nuovi guasti, e che gli avvenuti non si rendessero maggiori. Successo ad Innocenzo Clemente XI., fu facile al Maratta venire allo scopo dell'ideato suo progetto, come facile gli era l'ottenere quanto da lui richiedesse relativamente alla sua professione. A giustificare quest' annuenza, citava il Papa gli ottimi risultamenti ottenuti da Carlo nei restauri della Farnesina, ed in quelli eseguiti sotto la sua direzzione nella galleria dei Caracci. Dovevasi però riflettere, all che se alla Farnesina non s'accorreva prontamente, quel dipinto

si sarebbe senza fallo perduto; poichè oltre avere la volta fatte al13 cune aperture, si era la colla distaccata dal vivo muro, ed in

molti luoghi la dipintura aveva perduto di vivacità, e di colore ; svi si suppli allora senz'alterarne l'armonia, la quale poi non si mantenne, stante il troppo caricarsi dei fondi azzurri.

Le cammere Vaticane al contrario non si trovavano in simile situazione, ed il danno maggiore proveniva da una grandissima quantità di polvere invecchiata, e rappresa, ed erano altresì sfrigiate quelle pitture con punte di ferro, per esservisi segnati più hei nomi, e linee, e sfrigi tirati per più versi (29).

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Non devo erigermi giudice, se meglio convenisse l'adottare il proposto restauro, o pure conservare quelle opere nella loro integrità, quali si fossero, e si ritrovassero, giacchè niun retto giudizio può formarsi senza il confronto del passato col presente. Non può negarsi però, generalmente parlando, e con me conviene anche l'autore dei dialoghi sopra le tre arti del disegno (50), che al ritocco delle opere a buon fresco, nemmeno possono concorre–› re gli autori medesimi, senza deteriorarle. Intendo in questo luo go di parlare soltanto di quei notabili ritocchi, i quali richiedono giunta d'intere parti mancanti, mentre pel resto sarebbe inutile il trattare questa materia con un rigore inopportuno. Allorchè pertanto si è al momento di porre mano al restauro delle opere a fresco dei grandi Maestri, giova riflettere essere migliore partito di gadere intatto quel poco, che ne rimane vergine, ed illibato, che averlo discordante col ritocco, ed anche guasto: imperocchè

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non si potrà mai a buon fresco ritoccare, quando in quei luoghi manchi qualche pezzo, se prima non si dia al fondo un nuovo intonaco di calce viva sul muro, per poi dipingervi sopra, come il rimanente antico. Ma questo riesce impossibile a praticarsi, poichè il nuovo intonacato di calce, che si dasse ne luoghi mancanti, mangierebbe, come suol dirsi, il vecchio dipinto vicino; e dato ancora per possibile, che ciò non avvenisse, ognun vede la somma difficoltà d'uguagliare al vecchio il nuovo dipinto, e si macchierebbe vicino al nuovo il dipinto antico. È fuor di dubbio che le vecchie dipinture a fresco hanno preso la loro patina dalla calce, dall'aria, dalla polvere, e dall' umido, e questa patina difficilmente s' imita col dipingere a fresco, cambiandosi le tinte nell'asciugarsi; quindi se s'imitasse nel dipingere diversificarebbe nell' asciugarsi, ad allora ch'è asciutto non può ritoccarsi a buon fresco; è chiaro adunque che col ritocco non si supplisce alle mancanze già fatte; nulla si può diminuire, nulla accrescersi, e la vivezza, che dalla calce acquistano le tinte, non può certamente darsi al nuovo dipinto, ne la prima volta che si esigniscono i pezzi mancanti con nuovo intonaco di calce, ne la seconda che si ritoc cano per maggiormente imitare il vecchio: non la prima volta, poichè qual vivezza può darsi alle tinte, se converebbe in tal caso imitare la patina antica? non la seconda, poichè non saprei qual vivezza potesse ottenersi con la calce asciutta alle tinte, che vi si dassero sopra, e che dare vi si dovrebbero a colla?

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Minori certamente risultare non dovrebbero gl' inconvenienti, qualora a secco volesse farsi il restauro, cosa, che fu da alcuno con poca felicità praticata.

Ma per tornare da dove ci dipartimmo, Maratta superò gl'infiniti ostacoli, che si fraposero a questo suo lavoro, quando moltissimi temevano, che potessero quelle opere pregievolissime alterarsi, e condusse a fine in breve tempo il restauro ajutato da suoi discepoli, e sostenuto dalla protezione del Papa, il quale lo aveva in tanta stima, e considerazione, che mai volle prestare orecchio a quanto si dicesse contro l'esecuzione di quelle opere, e non pensò, che a premiare l'autore, compiute he l'ebbe.

D

Fece parte il Maratta degli Accademici di San Luca, e resse in qualità di Principe lo stabilimento dal 1664, al 1667, finchè venne a rimpiazzarlo Francesco Grimaldi.

Volendo però l'Accademia far cosa grata al Pontefice dispose, che al Maratta fosse in seguito concesso il perpetuo Principato; e siccome trattavasi di deviare dallo statuto, si disse che tale risoluzione era consigliata dal riflesso di attestare a questo pittore la gratitudine dell'Accademia per i molti beneficj col suo mezzo ottenuti. Și prevalse di quest' opportunità il Papa per onorare in modo straordinario il suo protetto; imperocchè adunatosi il corpo accademico in Campidoglio per la premiazione dei Giovani studiosi del disegno il giorno 24 di aprile del 1704, volle che il di lui Nepote abate Annibale vi leggesse l'orazione e poscia ordinò, che il Maratta per mezzo del Cardinale Acciajoli Decano del Sacro Collegio fosse vestito dell' abito di Cavaliere di Cristo, e nel tempo medesimo gli fosse consegnato il breve, il cui principio era uniforme a quello di Leone X. dettato dal Cardinal Bembo, allorchè Raffaele fu da quel Pontefice deputato a soprassiedere alla fabbrica della Basidelica di San Pietro. Scrisse la relazione della pompa di questo siorno Giuseppe Ghezzi (31).

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útavano

L'animo del nostro pittore non potette a meno di non gre vivamente commosso per gli onori, che gli venivano compell, per gli applausi, che dai Cortigiani specialmente gli si ra il sensenza misura. Ma quello, che più al vivo lo lusingavs ersi che non tirsi indirettamente paragonare a Raffaele, senz'avv

venerazione

poteva reggere al confronto di un Maestro, che come altrove si disse, tanto stimava, e di cui non solo purla con rispetto, e ma diceva non potersi uplaguire, e neppure cogliere ; anzi a testimonizoza di quei atimenti fece eriggere a proprie spese nel Paxleon un momento di marmo, che consistette nel ritratto del Sanzio da collocarsi entro una nicchia ovata di un pilastr, scrivendovi sotto un' elegante elogio (52); e di facciata fece anche scolpire il ritratto d'Annibale Caracci, al cui merit, non aveva minore ossequio.

L' onorare le ceneri, e l'eternare le memorie dei sommi Uomini fu sempre stimata azione virtuosissima, e se di questa dobbiamo particolarmente lodare Maratta, mi sarà permesso di tributargli elogio anche per un'altra virtù, la quale per esser meno praticata, acquista grandissimo pregio. La fortuna esalta gli 'Uomini, e più spesso li rende dimentichi di loro origine, ed ingrati a quanti gliela procurarono. L' esempio è comune, e non ha bisogno ne di molte parole, ne di comento. Io lodo pertanto Maratta, il quale benchè salito a tant' auge, e già Cittadino della Capitale, non dimentica l'angusta ed umile terra, da cui trasse i natali. Vi fece trasportare le ceneri di Francesca sua Consorte, e ne commise il ritratto in marmo a Canillo Rusconi, fra gli Scultori che vivevano in Roma uno dei più valenti, e reputati, rendendo ricca inoltre di pii doni la Chiesa matrice (33).

R

Cie.

Com' effigiò i personaggi più illusti de' tempi suoi, cosi volle anche ritrattare la Madre, che in una tavola di figura ovale ve desi nella galleria dei Melzi di Milano (34). Grato a Giampietro Bellori, che fù dei primi a proteggerlo, e che finchè visse s'oc cupò nell' illustrare le opere, che con più grido andava Carlo faendo, cosicchè divenne il suo biografo, volle anche di quest'inSe letterato, ed antiquario aver l'imagine, e lo depinse si vero, stimò fra le cose sue una delle tele più pregevoli; perlochè espo dagli Accademici del disegno di Firenze nel 1767 nella carla dell' Annunziata molte delle opere più eccellenti d'ancompresero anche questo ritratto (35). Siccome une condizione degli Uomini il non mantenere Vt, the esercitano, così mentre lodiamo la sua carità, e modestia, lo vediamo quasi nel tempo stesso occupato in un'opera, che alcu, dibbe virtuosa, perchè richiama all' ultimo fine, ma che io co. tua candidez la credo ambiziosa, perchè deriva ordinariamente da odata vanir. Pensò Maratta di

loro

tichi artefic

vi però è assai

coerenza nelle

farsi innalzare un monumento, entro cui voleva racchiudessero le sue ossa. La Chiesa di Santa Mara degli Angeli alle Terme Diocleziane fu prescelta a questo fine, e volle che s'er-zesse di facciata a quello di Salvatore Rosa. Questo monumento sorse più

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