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Vedeste mai più rare

Membra, vestite andare

Di più celesti innamorati rai?

Rispondete, vi prego,

Se pur mai vi piegaste ad umil prego.

Valli riposte e molli,

Che ne' freschi antri occulti

Chiudete il mezzo dì Ninfe e Pastori;

Feconde piagge, e colli,

Ove gli allori culti

Sono e rigati da benigni umori ;

Or non son questi ardori,

Ch'entro 'l mio cor si stanno,

Ben graditi e felici?

Or non son le radici

Dolci di questa pianta e senz' affanno,

La qual celebro ed amo,

E sospirando ne' miei versi chiamo?

O semplicetta mia, chiudi le labbra,

Ch'a dir il ver, tu sei

Mal atta ad appianar gli affetti miei.

144.

VITTORIA COLONNA.

CANZONE.

In Morte di Ferdinando d' Avalo, suo Marito, Generale dell' Imperadore Carlo V.

SPIRTO gentil! che sei nel terzo giro

Del ciel fra le beate anime asceso,

Scarco del mortal peso,

Dove premio si rende a chi, con fede

Vivendo, fu d' onesto Amor acceso:
A me che del tuo ben non già sospiro,
Ma di me ch' ancor spiro;

Poich' al dolor, che nella mente siede

Sovr' ogni altro crudel, non si concede

Di metter fine all'angosciosa vita :

Gli occhj, che già mi fur benigni tanto,

Volgi ora a' miei che al pianto

Apron sì larga e sì continua uscita:

Vedi come mutati son da quelli

Che ti solean parer già così belli!

L'infinita ineffabile bellezza,

Che sempre miri in ciel, non ti distorni

Che gli occhj a me non torni,

A me cui già mirando ti credesti

Di spender ben tutte le notti e i giorni. E se'l levarli alla superna altezza

Ti leva ogni vaghezza

Di quanto mai quaggiù più caro avesti,

La pietà almen cortese mi ti presti,

Che 'n terra unqua non fu da te lontana;

Ed ora io n' ho d'aver più chiaro segno,

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Dove senza me sei, n'è la fontana.

S' Amor non può, dunque pietà ti preghi
D'inchinar il bel guardo ai giusti preghi.

Io sono, io son ben dessa: or vedi come
M'ha cangiato il dolor fiero ed atroce,
Ch' a fatica la voce

Può di me dar la conoscenza vera.

Lassa, ch' al tuo partir partì veloce

Dalle guance, dagli occhj, e dalle chiome

Questa a cui davi nome

Tu di beltade, ed io ne andava altera;
Che mel credea, poichè in tal pregio ť era,

Ch'ella da me partisse allora, ed anco

Non tornasse mai più, non mi dà noja :
Poichè tu, a cui sol gioja

Di lei dar intendea, mi vieni manco,

Non voglio no, s' anch' io non vengo

dove

Tu sei, che questo od altro ben mi giove.

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