Prefente agli occhi tuoi: facile in effo Ti farà difcoprirvi il grande Iddio; Poichè della fua luce il chiaro, e vivo Raggio diffufo in ogni lato appare, In ogni lato fpandefi, e balena, E giunge da ogni parte. affai fvelato A ferirti le languide pupille:
Tu non puoi già fpiar d'un guardo folo Quelle forze motrici, il cui concerto, L'ordine, la fermezza, e la ftruttura Dell' Univerfo intier libra, e foftiene; Penetrar con qual alto magistero La fuprema Potenza abbia difpofto De i tortuofi vort:ci il Sistema; Scorrer le vie degli Aftri, e delle Sfere
efprime nella maniera, che fegue.,, Si farebbe meglio a " lasciare ftare cotefti Mondi per quel, che fono, giacchè "Iddio non ha giudicato a propofito di favellarne, e li ba
collocati oltre la noftra capacità. Trattato dell' incertezza delle Scienze Cap. 8. Per altro farebbe da vederfi, fe metteffe in conto di prendere un tuono sì ferio contro coftoro, giacchè è certo non aver effi pretefo, che di produrre una Ipotefi mera. Si può vedere, come penfaffe fu ciò il Galileo nel fuo Sistema Cofmic. Dialog. I.
Io ho dubitato, fe in quefti verfi vi fi poteffe eziandio nafcondere fotto fenfo alquanto figurato la condanna di certe altre difpute Filofofiche, che in propofito del Mondo fogliono farfi, e che per verità terminano d'ordinario con poco profitto, e del buon fenfo e della morale. Intendo dire delle queftioni, che fi muovono fopra la perfezione, o imperfezione del Mondo attuale ptefente relativamente ad altri Mondi poffibili; e ficcome fono ben cognite a i Dotti tali controverfie, non ml ci ftenderò di vantaggio, ed aggiugnerò unicamente, che fe Pope ha intefo parlare di quefte, come d'uno fcoglio pericolofo, in cui fi corre rifico per troppa curiofità, ardore d'ingegno, di far naufragio, non ha giudicato, che faggiamente.
Alzarti a vol tra quei lucenti globi, E la ferie diverfa, e la bellezza Di quegli enti mirare, ond'è ripieno, Onde si vagamente il Ciel s' adorna; E intender tu vorrai gli alti misteri Di quella faggia economia profonda, Che il Mondo tutto a voglia fua compofe? E che forfe il tuo fpirito orgogliofo Tra i legami del corpo imprigionato Del configlio divin trovoffi a parte? Non già l'imbelle tua deftra mortale, Ma la divina onnipotente mano Fu, che ordì, che foftien quella catena, Di cui l'occulta forza i corpi attrae, E mentre che gli attrae, li regge, e guida. II. Temerario mortal! la tua ragione Pace non ha, se a rifaper non giugne Per qual cagion, per qual difegno afcofo Sì piccolo, si fiacco, e sì riftretto Nelle tue vifte ti formò Natura. Ma prima infegna a me, donde addiviene, Che più imperfetto ancor nato non sei; Dimmi, per qual cagion la quercia annofa, • Che fin nel fen delle più eccelse nubi I fuperbi fuoi rami inoltra, e ftende, Umili piante alle radici intorno
Sotto l'ombra materna accoglie, e nutre? I brillanti Satelliti di Giove
Tu vedi; or dimmi, e perchè mai racchiufi Tra gli angufti confini a lor prefcritti Grandezza egual non hanno a quel Pianeta, Che li guida nel corfo, e li dirige? Se il grande Iddio tra i fuoi decreti eterni, Un modello scegliendo il più perfetto, Volle un Mondo creare, in cui rifplenda L'immenso fuo potere, in cui cofpiri
Tutto in ordine, e lega, anco tra quelle Parti, che più tra lor difgiunte fono, In cui senza lafciar vuoto tra loro Quegli enti, ch' ei vi fè, crefcendo a gradi Fin preffo all' infinito, egual mifura. Serbin, qual lor convienfi, in lor carriera; Se ad empier quefto tutto, opra ftupenda Dell' arbitrio divin, tra le diverse
Claffi degli animali, un grado anch' effo Vi dee l'Uomo occupar, permeflo è folo D'inveftigar, fe il Ciel giufto a bastanza Nel rango lo poftò, che a lui conviene. Nell'Uom, tal quale egli è, ciò che a te sembra Un mal, diventa un ben, quando tu guardi L'ordine univerfál: prefume in vano Diftinguer, fe una parte è pofta a segno, Chi non fi volge a ciò, che il tutto efige, Quando al fiero deftrier non fia nafcofa
La cagion, per cui l' Uom, che pria domollo, A morder lo coftringa il duro freno, E a traverso del piano polverofo Al corfo a voglia fua tanto l'affretti, O moderi l'ardor, che lo trafporta; Quando che il pigro bue punto nel fianco Dallo ftimolo acuto, avrà contezza A qual ufo apra il folco in ful terreno O per qual bizzarria cinto di fiori, D'offerte, e voti, in Memfi onor riceva; La mente noftra allor refterà fgombra Da quegli errori, onde mal fcerne il vero, Nè di oppofti principj entro noi ftelli Vi farà più contralto, e l'Uomo allora Di conofcere a fondo avrà diritto, Perchè agli affetti fuoi ferva, e comandi, Debole tanto, e tanto grande infieme, E perchè col fuo cor fempre in battaglia
Or fi abbaffi al di fotto di fe fteffo, E fino all' Ente fommo orà fi estolla. Taccia dunque colui, che il Cielo accufa Su i difetti dell' Uom; provido il Cielo Lo fè qual effer dee, qual fi conviene; Tutto ci moftra in lui l'alto fapere Del benefico Iddio, che lo produffe, Perchè foffe del Mondo abitatore:
Un momento è il fuo tempo, e un punto è quello Spazio, che ad effo ad occupar fu dato. Se in qualche Sfera effer dovrà perfetto, Che val, fe in questa o in altra abbia tal pregio, Se presto o tardi un si bel dono ei goda. L'Uom benchè da un fol di felice appieno Non è a quel difegual che da mill' anni E mille intiero il fuo gioir mifura. III. Moffo da orgoglio infan, dentro le oscure Cifre dell' avvenir legger vorrefti.
Ma tu non fai, che in folta nube involti I libri del deftino all'Uomo chiufi Solo all' occhio di Dio reftano aperti?
Quel che a i bruti ei nafconde, all'Uom rivela, E ciò, che cela all' Uom, non tiene afcofo A i puri Spirti del beato Empiro. E chi potria quaggiù fenza di queste Tenebre, che circondano i mortali, Trarre i fuoi trifti giorni in lieta pace? Quell' innocente agnel, che al fin del giorno A perir condannò tua fame ingorda, Se aveffe la ragion, che a te fa scorta, Se del corpo fatal foffe prefago,
Forfe che in calma attenderia la morte? Fino al momento eftremo ei sta scherzando Le fresche erbette a pafcolar fu i prati Scevro d'ogni timor, d'ogni fofpetto, In mezzo dell'orribile periglio,
E accarezza giulivo il braccio ifteffo, Che di ferirlo in atto è già diftefo; Fortunata ignoranza, error felice,
Che al noftro inquieto cor vela il futuro; Arcano che a fe fteffo Iddio riserva, Perchè ciascuno il fuo deftino adempia. Tutto in tal guifa è a quel poter foggetto, Che fu giufte bilance il tutto pesa,
Che d'un occhio tranquillo, e in calma vede Il paffero cader, perir l'Eroe,
Difciorfi in acqua paffeggiere nubi, O con orribil tuono i Cieli aprirsi, A feconda del vento dolcemente La rugiada piegare, o i Mondi intieri Nel nulla antico ritornar fepolti. Dunque l'audace vol moderi, e freni Chi di foverchio in fuo faper s' affida; Non lungi è quel momento, in cui la Morte, Quella cruda Tiranna univerfale
I decreti del Cielo a noi palefa.
Mira l' Indian, che povero d'ingegno Non fa con l'arte vantaggiar quei doni, De' quali a lui fu prodiga Natura:
Se all' aere ei fi rivolge, Iddio vi trova; S' Eolo gli foffia intorno, Iddio vi fente: Più in là de i fenfi il fuo faper non ftende Con loro ei fi governa, e in quegli oggetti, Che fembran più vistosi, ivi fi arresta Il Sole, e gli altri corpi luminofi,
Che il Gielo azzurro agli occhi fuoi prefenta, Fan del conofcer fuo tutta la sfera. Intanto a raddolcir le noje amare Del fuo viver penofo, ei fi figura Un foggiorno più ameno, e più felice, In cui fpera, che a lui ferbifi un tempo Quel piacer, che la forte or gli contende.
« PreviousContinue » |