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SOMMARIO

DELL Ä

PRIMA EPISTOLA.

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Piegafi la natura, e lo ftato dell' Uomo in gene rale e per rapporto all' Universo. La ragione non può giudicare dell' Uomo, fe non_col_confiderarlo come deftinato ad abitare quefto Mondo vifibile. L'ignoranza, in cui fiamo del rapporto di questo Mondo con le altre parti, che compongono Univer Jo, è la forgente de noftri lamenti contro la Provvidenza. Follia, ed ingiustizia di questi lamenti Per conofcere la fapienza di Dio nella formazione dell' Uomo converrebbe comprendere tutta l'economia de i di lui difegni. Impossibilità in cui è lo spirito umano di penetrare tutta quefta economia. Egli cid non ostante conosce a bastanza • per vedere Uomo ha tutta la perfezione, che conviene al rango, ed al posto, che dee occupare tra gli enti creati. La fua prefente felicità fi fonda in parte full' ignoranza degli avvenimenti futuri, ed in parte fulla Speran za della felicità, che attende nell'avvenire. I fuoi errori e la fua miferia derivano da un orgoglio fenza mifura, che aspira a conoscenze, e a perfezio mi, delle quali non è capace l'umanità . Egli si riguarda come l'oggetto finale della creazione, e vuo le nel Mondo morale una perfezione, che non fi trova nel Mondo fifico, e che non può darsi nelle cofe create. Egli afpira nel tempo istesso alle perfezioni degli Angeli, e alle qualità de i bruti. Una mag

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gior finezza degli organi de i fuoi fenfi lo rendereb be miferabile. Nell'Univerfo vifibile vi è un ordiuna gradazione di perfezioni tra le creature onde rifulta una fubordinazione delle une alle altre e di tutte all' Uomo. Gradazione di cognizione, inftinto, di pensiero, di rifleffione, e di ragione La ragione dà all' Uomo la fuperiorità fopra tutti gli altri animali, e l'indennizza bene in tal forma delle qualità, che hanno al di sopra di lui. L'unione, la felicità, e la confervazione di tutte le crea ture, ed ancora dell'Univerfo, dipende dalla fubor dinazione, che regna tra loro, e tra tutte le parti, che formano l'Univerfo. Il menomo fconcerto in una fola delle fue parti partorirebbe feco la deftruzione del tutto. Convien dunque concludere, che tutto ciò che è, è bene . Che Uomo è tanto perfetto, e tanto felice, quanto può efferlo, e che tanto in riguardo al fuo ftato prefente, quanto al suo stato futuro, egli dee raffegnarfi intieramente agli ordini della Provvi denza.

ΕΡΙ.

EPISTOLA PRIMA.

R vegliati Signore (a), e al volgo ignaro

Lafcia di un falfo ben la vana fpeme:
Togliti al fafto delle corti altere

Troppo mifero oggetto alle tue brame.
Vuoi forfe tra la folla andar confufo
Che de i Monarchi la fortuna adora?
Ah vieni, alzati a volo; un fin più bello
Volganfi a rintracciar le noftre cure,
Un oggetto più degno, e più fublime;
Quefto l'Uomo farà: raro, ftupendo
Laberinto, in cui l'occhio effigiato
D'un piano regolar fcorge il difegno;
Campo fertile sì, ma infiem felvaggio,
In cui con favie leggi a un tempo ifteffo
E la rofa, ed il cardo hanno i natali;
Qual nel darci la vita ebbero i Cieli
Disegno, inveftighiamo, e l' Uomo impari
A co-

(a) Errico Sangiovanni Vifconte di Bolingbroke già Segretario, e Miniftro di Stato della Regina Anna. Si può veder l'Elogio di quefto Signore nel fine dell' Epiftola quarta. Egli è morto nell'anno 1752. in una fua Cafa di Campagna vicino a Londra, in cui fi era ritirato per attendere ai suoi ftudi, e coltivare in quiete i fuoi Amici. Egli ebbe una gran mano nel congreffo di Utrecht e fotto il Regno di Giorgio I. fu obbligato a ritirarfi dalla Corte, effendo ftato foggetto a varie altre peripezie. Non folo egli ebbe fama di gran Politico, ma eziandio di gran Letterato, La Libreria, che egli ha lafciato alla fua morte, fi dice afcendere al valore di qua rantamila lire fterline.

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A conoscer fe fteffo entro i miei verfi;
Del fuo cor tenebrofo a i più profondi
Aditi penetriamo, e con ftupore,
Fin nella fua miferia, altrui fi sveli
Quanto vi regni della fua grandezza.
Un dell' ingegno, e di fua fcienza altiero
Niente crede d'ignoto a i lumi fuoi;
L'altro fprezzando quefti illuftri doni
Par, che di fua ragione il pregio ignori:
Entrambi io ricondurre al vero lume
Voglio, e fu quelle vie rette, e ficure,
Che Natura fegnò; l' Uomo in tal guifa
Per me de i fuoi doveri inftrutto appieno,
De i fuoi voti indifcreti abbia roffore,
E i fuoi pregj, e i fuoi vizj al fin comprenda;
E sbandito l'error, tolte, e depreffe
Le capricciofe idee, contro il fallace
Ragionar de i mortali, in falvo poste,
E vendicate reftino, e difefe

Le fante Leggi del Fattore Eterno.
I. Se t'è in piacer di trarre in falvo il piede
Fuor di quei fcogli, ove l'orgoglio infano
De i temerari ingegni urta, e fi perde,
Guardati d' inoltrar lo sguardo ardito
Su i Mondi innumerabili, e lontani (6)
Al tuo corto veder; volgiti a questo

Pre

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e del

(6) Sembra, che alluda quì il noftro Autore al noto Sistema della pluralità de' Mondi dell' Huygenio Fontenelle, e del quale fi trova ancora menzione preffo gli Antichi, conforme di Eraclide, e de i Pittagorici ci attefta Plutarco nel Lib, de Placit. dei Filofof. Lib. 2. Cap. 13. Egli dunque cenfura per temerarie tali ricer. che, ed in ciò è conforme il di lui fentimento a quello d'un altro Autore della fua stessa Nazione, il quale fi

cfpri

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