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Una cieca poffanza casuale

Non è già la Natura: un'arte fina
Ell'è, nafcofta all'ignoranza umana.
Quello che Cafo pare, è di un disegno
L'effetto, o la cagion, benchè al tuo fguardo
Il principio, e la fin reftin celati.
Quello che più ti offende, e ti commuove,
Forma un perfetto accordo, il quale avanza
Del tuo finito intendimento i fegni.
Qualunque appar difordine, e fconcerto,
E' un ordine real; qualunque male
Privato in bene univerfal ridonda.
A dispetto dei sensi, e dell'inganno,
Che nella mente tua da lor proviene,
D'uopo è, che tu concluda in questa guisa,
Che in tutta la Natura è tutto buono.

FINE DELLA PRIMA EPISTOLA.

SOM

tro celebre Poeta Francefe, cioè dal Sig. Greffer nella fua Commedia intitolata Il Sidney, Att. III. Sc. 1. fono stati pofti in bocca del fuo Ipocondriaco, che crede d'

aver bevuto il veleno:

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SOMMARIO

DELLA

SECONDA EPISTOLA.

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Ella natura e dello stato dell' Uomo confiderato come Individuo, e relativamente a se stesso. Egli non è fatto per inveftigare le più profonde qualità della natura di Dio, ma per studiare fopra di fe. L'Uomo è un misto di grandezza, e di baffezza, di lume, e di oscurità, di perfezioni, e d'imperfezioni, di forza, e di debolezza. Quanto egli fia limitato nelle fue cognizioni, Due principj delle noftre azioni, l'Amor proprio, e la Ragione. Tutti due fono neceffarj egualmente, e benchè diverfiffimi, tendono allo fcopo medefimo. L'Uomo non può esser felice, fe non in quanto fa accordargli tra loro con tenergli dentro i loro giusti confini . Le passioni sono modificazioni dell'Amor proprio. Sono di una grande utilità all' Uomo in particolare, ed alla focietà in generale. Non fi tratta di distruggere le passioni, ma di governarle, e di correggere le une col mezzo delle altre. Della paffion dominante Essa è necessa ria per fare entrare gli Uomini nelle differenti vedu. te che la Providenza ha sopra di loro, e per dare una maggior forza alle loro virtù, ed alle loro buone qualità. Mifto di vizj, e di virtù nella nostra natura, che confinano tra loro: La diftinzione de i loro limiti è ciò non ostante certa, ed evidente . Qual è l'ufizio della Ragione. Quanto il vizio fia odiofo per fe Steffo, e quanto facilmente gli Ucmini vi fi lascia

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VII. Tra gli animali tutti ah! qual catena,
Ordine, differenza, e gradazione!
Dal più piccolo infetto fino all' Uomo,
Che primo, e Re fopra degli altri pofe,
Qual di attributi difegual mifura!
La talpa, a cui fon le pupille ingombre
Da folte nubi, e tenebrofi veli,
Della luce il riverbero non vede;

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Ma nulla v'è, che fugga al penetrante
Guardo del Lince, e i corpi ancor più opachi
Moftranfi agli occhi fuoi diafani, e chiari.
Nell'orror della notte, allor che scorre [f]
Leoneffa affamata le forefte,

Scuopre la cerva impaurita al folo
Strepito della fuga: il can diretto
Dall' odorato in fuo cammin non falla
E d'invifibil traccia i paffi fiegue
Con giudizio follecito, e ficuro.
E chi comprender può, quale infinita.
Distanza, per la voce, e per l'udito,
Tra i volatili paffi, e il muto gregge
Dell'aquatico regno? L'ingegnofo

Ragno fi offervi in fuo recinto ofcuro;
Quanto il fuo tatto è vivo, e pronto, e certo!
Su i tefi lacci fuoi fempre vegliante,
Par, che ciascun dei fili abiti, e viva.
Che non ftupifci in rimirar, con quanta
Arte maravigliofa fi arricchifce

L'ape

(f) Quando i Leoni dei deferti dell' Affrica vanno, dice l'Autore, nell' entrar della notte in cerca di preda nelle forefte, mandano fuori incontinente orribili ruggiti, che spaventano le altre beftie, e fanno loro prender la fuga. I Leoni attenti al romore, che quelle fanno in fuggendo, le perfeguitano, non già diretti dall'odora. to, ma dall' udito.

L'ape fu i noftri campi dei tefori, Onde la primavera il fuol rivefte? Donde difcernimento ha mai sì fino, Che dai fughi più infetti, e più letali Sappia eftrarne per noi doni di vita? Inoltriamoci ancora: Ah qual fra tanti Diversità d'iftinto! Tu, che fembri Da lume di ragione effer guidato, Elefante, sì cognito per quella Docilità, che in te ciafcuno ammira, Qual fopra il porco vil non hai vantaggio? Uom forfe v'è, che a mifurare arrivi Quanto l'iftinto tuo, che sì vicino Credeli alla ragion, n'è poi lontano? Qual breve effer tra lor distanza appare! Chi può veder quel vincolo fegreto, Che il pregevole dono di memoria Al poter di riflettere congiunge? O inveftigar quei limiti, che pose Fra i fenfi groffolani, e il penfier puro, L'induftre man del Creator Divino? Lo fteffo iftinto agli Animali tutti Concedafi, e tra lor faccianfi eguali In forza, in attributi; ecco difciolto Di quella dipendenza il forte nodo, Ond' effi in pace, e in lega infieme ftanno. Difuniti, e difcordi allor vedranfi, Nè più dell' Uomo tollerar l'impero. Che val contro di voi l'aftuzia loro? E lor forza che val? Della ragione L'armi a voi fomminiftra il Čielo amico, E in quefto don, che fol per voi riferba, Il mezzo non fallibile ripone, Onde tutti rimanganvi foggetti. VIII. Nelli fpazj dell'aria, in terra, La feconda Natura in moto fempre

in mare,

Volgetevi a mirar: fempre indefeffa,
O popola, o abbellifce il mondo intiero.
Scorrete, unite infiem gli Enti diverfi
Cominciate da Dio, da quel fupremo
Ente, onde tutti gli altri hanno la vita.
Che infinita catena! che ftupendo
Spettacolo! nel Ciel Spiriti puri,
Nella terra, nell' aria, in mezzo all' onde,
Uomini, pefci, uccelli abitatori,
E infetti numerofi in ogni lato
Invifibili quafi. Or via, rompete
Dell' eterna catena un folo anello;
Tutto foffopra va, tutto in rivolta
L'ordine, l'equilibrio, il bel concerto,
E nel Caos fi perde, e fi confonde.
Se dei Vortici, u' notano i Pianeti,
Ciascuno ha il proprio fuo moto diverfo,
Che una fegreta Legge in effo imprime
Se quinci avvien quell' ordine perfetto,
Che l'intera armonia forma, e foftiene
Dei Cieli luminofi: un fol Pianeta.
Trapaffi il fuo confin, dal rimanente
Dei vortici difgiunto; ecco in cadendo
Trae feco tutti i differenti globi,
Onde l'union dell' Univerfo efifte:
La Terra allor dal centro fuo rimoffa
Nel Caos antico tornerà confufa;

L'un full' altro ammaffati i Soli, e gli Astri
Non faran più diretti, e softenuti
Dagli altri a lor vicini: la Natura
Tra la confufione agonizzante
Di Dio fin preffo allo ftellato trono
Arrecherà difordine, e spavento.
Dunque fia d'uopo por tutto in tumulto
Sulla Terra, nei Cieli, a render pago
Dell' Uomo ambiziofo il genio altiero?

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