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IX. Se ogni membro ribelle alla fua legge
Si voleffe fottrar nel corpo umano;

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Se il piè veder voleffe, o marciar l'occhio;
Se la man deftinata alla fatica
Ptetendeffe del capo aver la forte;
Se ricufaffe in fine ognun di loro
Allo fpirto obbedir, cui fon foggetti;
Qual difordine? e che? forfe non fora
L'ifteffo allor, che l' Uom contro il fupremo
Ente, che dona agli altri e moto, e vita,
Si eftolla audace, e con ingiufta brama
Tenti fortir dall' ordine prefcritto?

Le differenti parti, onde componfi

Questo vasto Univerfo, a fare un Tutto
Con fublime faper difpofte fono.

Di quefto Tutto il corpo è la Natura;
Iddio quello, che l'anima, e lo muove;
E fe a l'occhio Ei fi cela, i luminofi
Tratti del fuo poter fanno alla mente
L'augufta fua presenza affai palefe.
Nel far la Terra, e nel formare i Cieli,
Egli è del par poffente, e gloriofo;
Egli ineftefo ftendefi per tutto,
Ed indivifo penetra ogni parte;
L'invifibile Egli è ftabil foftegno

E dei corpi, e dei fpirti; agifce in Effo
Ogni Ente, il quale ha vita, e in Lui refpira.
Senza che niente perda, Ei tutto dona;
Egli difpone, Egli opera, e produce,
Senza che la fua forza, e il suo potere
O s'alteri, o fi ftanchi, o venga meno;
Egli egualmente e fapiente, e grande
Nel verme anco più vil, nell'elefante,
Nella formica, e nel leone appare,
Nell'umile bifolco, a cui ricopre
Ruvido manto le callofe fpalle,

Quan

Quanto nel Serafin cinto di luce.
X. Del tuo foverchio ardir prendi roffore
Dunque, o Mortal; coi tuoi profani accenti
Più non t' inoltra a difpregiare audace
Quelle, che Iddio nell' Univerfo pose,
Leggi, ond' ei fi governa, e fi mantiene .
Qual fogni imperfezione? un male al noftro
Corto veder ciò che par forfe, ignota
Divien per noi del noftro ben cagione.
Torna nel tuo dovere, e al Ciel fommeffo,
Del rango, ch' ei ti diè, vivi contento.
Animi la tua fe certa fperanza,

Che in quefto baffo Mondo, o in altra Sfera,
Del tuo Dio nelle braccia un Padre avrai:
Che fe ti arrendi al fuo foave impero,
E il tuo cor, la tua mente a lui foggetti,
Sol puoi con quefto mezzo effer felice.
Egualmente Ei di te cura fi prende,
E in quel fatal momento, in cui fi chiude
Il tuo corfo mortale, e in quell' iftante
In cui la prima volta il Sol tu vedi.
Non paventar ful tuo deftino; Iddio (g)

Sul

(g) Un Filofofo ragionevole infieme e Criftiano, perfualo invincibilmente tanto dal lume della ragione, che da quello della Religione dell' efftenza reale di uno stato futuro dopo la vita prefente, non può infpirare un vero coraggio contro il comun terrore della morte con fenti menti diverfi da quelli del noftro Autore, che tendono unicamente a perfuadere gli uomini di rimettersi in tutto e per tutto all' ordine ftabilito dalla Provvidenza, confidando intieramente nella paterna amorevolezza del Creatore, di cui ciafcuno ha tante particolari coftanti riprove fopra fe stesso.

Quei fapienti medefimi, che vantava il Paganefimo antico, ritraevano il fondamento maggiore della loro for

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Sul viver tuo, ful tuo morir prefiede,
E alle pupille fue fempre fei caro.

Una

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tezza in quefto paffo terribile dalla lufinga d'una interminabile felicità, a cui credevano deftinato il loro fpirito per fua natura, dopo d' effer difciolto da' legami del corpo. L'Entufiafmo di Catone preffo a Lucano immerfo tutto nel defiderio della vicina immortalità, è un indizio chiaro del fondamento, fu cui ftabilivano la loro fortezza. E' vero, che la loro Filofofia era in questa parte involta in molta illufione, figurandofi l'anima, come. una particella della Divina foftanza ra a riunirfi; ma, che che fia di ciò, refta chiaro, che a cui andaffe allocolla fiducia di una immortalità fortunata dileguavano li fpaventi dell' ora eftrema, i quali penfavano non dover aver luogo, che ne' reprobi, e fcellerati, giacchè s' immaginavano non potervi giugner quefti ultimi fenza prima foffrire varj e diverfi tormenti, o nei nuovi corpi da riaffumere, o altrove. La mancanza della rivelazione non poteva a meno di non gettargli in molta ofcurità, e fallacia fu quefto articolo, come fu molti altri. A noi tocca di appropriarci unicamente quei barlumi di buono, che in loro ritrovanfi. Certamente che molto più ridicoli comparivano fu tale argomento li Stoici, volendo dedurre tutta la forza d'un fimil coraggio dai fonti della loro imperturbabilità. Seneca arriva ad effere veramente nojolo in quefta materia nel fuo Trattato della brevità della Vita. Ci vuol altro, che idee chimeriche di magnanimità, e di deftino, per diftruggere quell' amore, che naturalmente abbiamo alla vita.

anzi

Sò altresì, che i principi del Signor Pope, prefi generalmente fenza gli fchiarimenti convenevoli, parer favorevoli anco a quella cieca confidenza, potrebbero piuttosto temerità, che non è lontana dai perniciofi Siftemi dei noti Deifti. Egli però va molto lungi da que fto fegno, mentre ha già magiftralmente in avanti fillati Idei Canoni di Morale incorrotta, coi quali vuole

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che

ciò la fi

ducia, che infinua può infinuare un Filofofo non è che legittima, e la fola, che verità Dommatiche, dalle quali prefcinde. Poffono adatfenza pregiudizio delle altre tarfi al cafe di quefta fenfata fiducia i verfi, che da al

Una cieca poffanza cafuale

Non è già la Natura: un'arte fina
Ell'è, nafcofta all'ignoranza umana.
Quello che Cafo pare, è di un disegno
L'effetto, o la cagion, benchè al tuo fguardo
Il principio, e la fin reftin celati .
Quello che più ti offende, e ti commuove,
Forma un perfetto accordo, il quale avanza
Del tuo finito intendimento i fegni.
Qualunque appar difordine, e fconcerto,
E' un ordine real; qualunque male
Privato in bene univerfal ridonda.
A difpetto dei fenfi, e dell'inganno,
Che nella mente tua da lor proviene,
D'uopo è, che tu concluda in questa guisa,
Che in tutta la Natura è tutto buono.

FINE DELLA PRIMA EPISTOLA.

SOM

tro celebre Poeta Francefe, cioè dal Sig. Greffet nella fua Commedia intitolata Il Sidney, Att. III. Sc. 1. fono ftati pofti in bocca del fuo Ipocondriaco, che crede d' aver bevuto il veleno:

دو

Le Juge, qui m' attend dans cette nuit obfcure, ,, Eft le Pere, & l'Ami de toute la nature;

,, Rempli de fa bonté mon efprit immortel
"Va tomber fans fremir dans fon fein paternel.

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D

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e

Ella natura, e dello stato dell' Uomo confiderato come Individuo, e relativamente a se stesso. Egli non è fatto per investigare le più profonde qualità della natura di Dio, ma per ftudiare fopra di se. L'Uomo è un misto di grandezza, e di bassezza, di lume, e di oscurità, di perfezioni e d'imperfezioni, di forza, e di debolezza. Quanto egli fia limitato nelle fue cognizioni, Due principi delle noftre azioni, l'Amor proprio, e la Ragione. Tutti due fono neceffarj egualmente, e benchè diversiffimi, tendono allo fcopo medefimo. L' Uomo non può effer felice, fe non in quanto fa accordargli tra loro con tenergli dentro i loro giusti confini . Le passioni sono modificazioni dell'Amor proprio. Sono di una grande utilità all' Uomo in particolare, ed alla focietà in generale. Non fi tratta di distruggere le passioni, ma di governarle, e di correggere le une col mezzo delle altre. Della paffion dominante Essa è necessa ria per fare entrare gli Uomini nelle differenti vedu. te, che la Providenza ha sopra di loro, e per dare una maggior forza alle loro virtù, ed alle loro buone qualità, Misto di vizj, e di virtù nella nostra natura, che confinano tra loro. La diftinzione de i loro limiti è ciò non ostante certa, ed evidente . Qual è l'ufizio della Ragione. Quanto il vizio fia odiofo per fe fteffo, e quanto facilmente gli Ucmini vi fi lafcia

L

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