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celeste, ed è quella che solleva lo spirito del Santo già tutto intento in altissima contemplazione; piena di vita è la testa, ed ogni membra pienamente corrisponde; se poi meno fosse cresciuto di tinta il quadro, maggiore ancora ne ravvisaremmo il merito (49). Non minore gloria di quella, che ottenne la provincia nostra per gli artisti sunnominati, vanterebbe, se si potesse provare almeno per via di prossima imitazione quel tanto, che Orsini asserisce, assegnando alla scuola di Frate Sebastiano dal Piombo un Camillo Bagazoto, nato in Camerino l' Anno 1535 (50).

Sappiamo col mezzo dì Vasari, che dall' istante, in cui del pingue benefizio del bollo fu investito Frate Sebastiano, e che potè con le rendite menare lieta vita fra gli agi, ed i piaceri, s' infacchi in lui l'amore per l'arte, e banditi i pennelli, di mala voglia diedesi a condurre opere lodevoli, massime di vasta orditura. Pochissimi furono i discepoli, ch' egli accolse e prima e dopo l'investitura concessagli; il solo Tommaso Laureti Siciliano riusci frà questi un coloritore robusto, e di suo sapere si hanno prove nelle storie di Bruto, ch'eseguì in una delle Sale del Campidoglio, e nelle varie tele dipinte per alcune Chiese di Bologna. Se al Laureti fosse stato compagno Camillo, taciuto non l'avrebbe Vasari, che mai non tacque degli allievi dei grandi Maestri, non esclusi quelli, che poco valsero, cosicchè sul preteso ammaestramento nasce dubbiezza, e questa s'aumenta quando alcuno si faccia a rinvenire anche lontana traccia dello stile del preteso Maestro in un' unico quadro colla communione di Santa Lucia del Bagazoti (51), che conservasi nella Collegiata di Spello, mentre vi troverà tanta distanza, quanta può esservene fra un secco pittore del secolo decimo quinto, ed un' altro vivace e pronto del susseguente. Non dirò che altrettanto apparisse Camillo nella sua patria, dov' era un quadro con San Porfirio nella chiesa di San Venanzo, mentre col cadere di quel tempio anche tal' opera peri; ma se realmente avesse sentito quel dipinto dell'ottimo gusto di Frate Sebastiano, percui eccellente stato sarebbe, non avrebbero gli scrittori municipali passato sotto silenzio il nome d'un artista, che onorando la

patria buon risalto dava a qualche pagina delle loro istorie. Dirò quindi, che invece di Camillo imitò i Veneti nel tingere fortemente Simone de Magistris da Caldarola, il quale peraltro non fu sempre uniforme nel modo d' operare; mentre dipingendo per la provincia infinite cose, ora se ne vedono delle buone, ora delle mezzane, ed ora anche delle cattive. Buone per esempio sono due grandi ancone, che fece per la chiesa di San Francesco di Matelica. In una di esse rappresentò la venuta de' Magi al Presepio; e quì al pari de' Veneziani ebbe tutto il campo di fare sfoggio in varietà, e vivacità di colorito. Sono quei Rè accompagnati da gran numero di Cortigiani, di Paggi e di Staffieri vestiti in quella guisa, che costumavasi a suo tempo, uniformandosi al metodo di Paolo, e dei Zuccheri. Il suo stile non è già scelto, ne studiato abbastanza 1 ma facile, e per dire così popolare; soddisfa perciò a chi non cerca il sublime. Nel campo del quadro framischiò rustici monumenti architettonici, che appajono quasi nascosti frà fronzuti alberi e folti cespngli, ciò chè servì a render più variata, e piacevole l'intera composizione (52).

Soggetto ben diverso è quello, che trattò nell' altra ancona ; mentre avendo dovuto rappresentare la lapidazione di Santo Stefano, ebbe in esso a far conoscere quanto intendeva d'ignudo, figurandovi i manigoldi tutti intenti al martirio del Santo. Ma per dire la verità sembra, che per molto ch' ei facesse, non poté piacere abbastanza a noi in un tempo, in cui il buon gusto, e tima maniera di muscoleggiare era tornata a mettersi in pratica pel divino Michelangelo.

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Vedesi bensì ch' ebbe cura d' osservare il vero, ma di fermarvisi senza eleggere il più bello della natura, al contrario di quello facevano negli antichissimi tempi i Greci, ed i Romani. Piene d'espressione sono le teste, e fra queste campeggia quella del protagonista, che vestito di ricchissima dalmatica, figura in mezzo del quadro cogli occhi rivolti al Cielo, ove sembra si rallegri alla vista dei bellissimi Angioletti, che festeggiano la prossima sua gloria (53). Di ben diversa tempra però è la composizione,

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che l'anno appresso eseguì per la chiesa di Sant' Agostino di Fabriano; mentre se nella surriferita potè lasciare un testimonio parlante della sua scienza anotomica, in questa spiegò tutta la grazia, e la gentilezza. Vi si scorgono la Vergine, e San Giuseppe oranti presso il neonato Bambino, che giace nel presepio; oltre i Pastori introdusse quali astanti San Niccola da Tolentino, ed il ritratto dell' ordinatore, nel quale infuse tanto spirito di devozione, vivo rassembra (54). Non ha di questo minore merito l'altro dipinto che parimenti in Fabriano rimirasi nella Sagrestia dell' Oratorio di San Venanzo. Al De-Magistris ebbi ragione d'attribuirlo. tanto esso somiglia al già descritto. Oltre la Vergine col putto, nel mezzo della tavola, sono dalle parti i Santi Girolamo, e Rocco, e nel grado piccole storie, fra le quali bellissima quella, in cui vedesi il menzionato San Girolamo sollecito a togliere uno spino, che internato si era fra l' unghie d'un Lione; soggetto, che trattò con tanta verosimiglianza da sorprendere come un'artista, che alcuna volta dava tanto nel minuto, cosicchè le cose sue apparivano sotto quest' aspetto quasi lavori d'Alberto Dusostituisse poi questo suo metodo ad uno stile, che alcuna volta il dimostra negligente, e trascurato. Ne coi due quadri surriferiti fa conoscere inesperto nella teoria del colorito, giacchè le sue tinte appajono ora meno forti, ora più risolute a norma che il bisogno l'esigge; e quindi dedussi ch'egli sapesse sì bene disciplina

che

appare

rero,

re

il

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suo pennello nei passaggi da rendersi maestra l'infallibile natura. Un' altro bellissimo esempio di piccole storie fatte da costui presenta ora alla mente e sono quelle appunto, che osservai non molto tempo addietro ne' riquadri dell' organo della Collegiata di Force, dove in ognuna espresse varj fatti della vita di Nostra Donna; ed in quello specialmente, ov'è la fuga in Egitto, seppe mostrarsi si pratico paesista, che ogni vaghezza in quel quadretto raccogliesi.

Ottima è la composizione d'un' altro suo quadro colla Pentecoste, che tuttora rimirasi nella Pievania della terra d' Appignano d'Ascoli lavoro, ch'egli eseguì nel 1584, e che può

ed

dirsi l'ultimo in cui conservò lo stile, che praticato aveva fi no a quel punto. Incomincia quindi a decadere in una tela, che fece l'anno susseguente pel Duomo d'Osimo, dove in semplice composizione espresse la Vergine col Bambino in gloria, ed al basso i due Apostoli Filippo, e Giacomo (55). Ivi nel disegno figura meno corretto, le pieghe nei panni sono trite, usate senza temperanza. Il suo colore non armonizza in ogni parte; ed in tal modo operando anche nel progredire del tempo, l'opinione per esso decadde: per cui le opere ch'egli fece al di là del 1586 non corrispondono a quelle dell' epoca anteriore; ed è vera dissavventura, che quei dipinti che al dì d'oggi ancor rimangono nella sua patria, non siano di quello stile purgato, e corretto che noi finora lodammo; e tali non sono veramente quelli, che fece nel tempo, in cui viveva il munificentissimo Cardinale Evangelista Pallotta da Caldarola; Porporato, che io nomino con somma venerazione, considerandolo come uno di quegli Uomini, che più onorarono il secolo, in cui visse; fu sempre liberale, ed amico dei letterati, e dell'infelice Torquato Tasso specialmente protettore sincero, e nel tempo stesso splendido Mecenate degli artisti, che adoperò in opere considerabili.

Elevato ai più cospicui incarichi, non dimenticò mai la terra natale, che anzi fu per essa largo con ogni sorta di beneficenze, fra le quali può annoverarsi quella d'aver eretto co' proprj de nari la Collegiata di San Martino.

Il quadro col titolare, oltre molti altri affreschi nella volta della gran Cappella e che più non esistono, furono da esso allogati a Simone, il quale negli affreschi suddetti figurò i fasti del Santo Vescovo, e nel quadro principale. il medesimo Santo in atto d' operare un miracolo, allorchè. celebravasi il Sacrifizio della Messa; a piedi ritrattò lo stesso Cardinal' Evangelista orante cogliendovelo similissimo. Se ad un tingere oltremodo caldo avesse unito una maggiore dolcezza nella degradazione delle linee, avesse meglio conosciuto l'effetto della prospettiva, il suo lavoro avrebbe ora più estimazione di quella, che realmente gli si concede.

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Da Caldarola dov' ebbe anche ad operare nel palazzo dei Pallotta (56) è a supporsi, che si trasferisse in Ascoli, ed ivi oltre diversi quadri occupò negli stucchi, che ornano diverse Cappelle della chiesa di San Francesco; del qual genere di plastica era pratico, ma non diligente Maestro.

Per la chiesa di San Domenico dipinse una tela col Rosario, oltre diversi Santi, ed un uguale soggetto, ma in altro modo composto, replicò nella Chiesa di San Pietro Martire per la Fraternita di San Rocco (57). Non sono però questi gli ultimi suoi lavori; essi debbono vedersi nella Collegiata di San Ginesio in due grandi storie, l'una con l'ultima cena di Cristo, e l'altra con l'andata del medesimo al Calvario (58), non già per lodarle, ma per convincersi, che un primo passo al manierismo trasporta al peggioramento dello stile.

Parecchi Fratelli ebbe Simone de Magistris, ch' esercitando anch' essi la dipintura gli servirono d'ajuto nelle molte e grandi opere, che fece nella provincia nostra. Furono essi Polomino, Giovanni-Francesco, Solerzio, e Federico che fu l'ultimo, al quale s' ascrive nella Chiesa di Santa Maria della Carità d' Ascoli una tela col presepio, che Orsini disse di Simone. È lodevole questa pel suo colorito, ma pel resto la degrada quel tagliente delle figure, da cui deriva troppo rapido passaggio dal chiaro

allo

scuro. Non può dirsi qual fosse l'altra, che lasciò nella Chiesa di San Francesco d'Osimo essendo smarrita.

Viveva contemporaneo a costoro un Durante de' Nobili parimenti di Caldarola, che datosi ben per tempo all'esercizio del dipingere nella fresca età di anni diciassette, presentò al pubblico il prino suo lavoro in un quadro, allogatogli per la Chiesa di San Martino della sua Patria, ove espresse i Santi Cosma, e Damiano supplichevoli, e la Vergine che trionfa in mezzo ad un numeroso coro di Angeli. Ingegnavasi egli fin da qualche tempo ad apparire Michelangelesco, e le opere, che ne paesi nostri faceva a que' di il Tiboldi lo ecitavono a quello stile, ma non riuscì mai a variare abbastanza le sue figure, ed i muscoli e contorni de' giovani da

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