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sotto la sua direzione (16). Una sola navata comprende quel tempio, che è a croce greca, con in mezzo la cupola, e con il braccio dell'altare maggiore più lungo degli altri tre. Del solo interno occupossi, essendosi in seguito la facciata stabilita con altro disegno di Giovanni Battista Soria Romano, il quale adottò iu questa quelle medesime proporzioni già da esso prima usate nei prospetti delle chiese della Vittoria, e di Santa Susanna, di cui parlando particolarmente Milizia, dice, non essersi l'architetto distinto che per la grandezza, e ricchezza dei travertini, delle sculture, mentre pel resto è meglio il tacerne ch' enumerarne i difetti, e le stravaganze. Non ebbe appena il Rosati compiuto l'anzidetto lavoro, che preso commiato da suoi amici, e compagni, e dal Cardinal Alessandro da Montalto, cui serviva in qualità di Gentiluomo, si ridusse in Macerata, città ch' egli prescelto aveva a quasi sua seconda patria. Trattavasi in quel tempo d'assegnare ai Padri Gesuiti non solo una comoda abitazione, ma bene anche una chiesa, che meglio si confacesse al sacro loro ministero, e che d'altronde servisse a maggiore onore di Dio, e decoro della città. Rosati ch' era uomo piissimo, e che con l' incombenze finora sostenute aveva radunato sufficienti ricchezze, ne dispose non solo a pio, ed utile collocamento di giovani marchigiani (17), ma ben anche per la nuova fabbrica ch' criggere si doveva, ( di cui esso medesimo diede il disegno) occupandosi della relativa esecu

zione

si

(18).

La facciata di questa chiesa, a cui s'ascende per varj gradini presenta ricca di travertini, e termina in forma piramidale. È lete divisa in due ordini, i quali non corrispondendo all'interno farebbero nominarla da Milizia bugiarda. Al di dentro è la chiesa decorata da pilastri dorici, girando intorno un fregio con triglifi,

e

metope; tali ornamenti non ben s'addicono all'interno d' una fabbrica, dove manca lo scopo; imperocchè non essendo per lo più le scanellature dei triglifi, che una rappresentanza del cavo, che produce l'acqua nelle pietre, ognun s'avvede, che in questo caso a fregio diverso conveniva ricorrere. Se gli artefici fossero

obbligati a render conto perchè operano in una data guisa, forse attenderebbero ad una maggiore ragionevolezza. I Tebani lo pretendevano, ed a Tebe le arti si sostennero in quel grado di perfezione, che noi invano ricercheremmo a giorni nostri.

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che

Nel mezzo della menzionata chiesa s'eleva una cupola, che contribuisce al pregio dell' edifizio tanto pel suo innalzamento, quanto per una ben intesa curvatura. Su tale proposito non sarà fuor di luogo il riflettere, che gli antichi non elevavano cupole che sopra fabbriche circolari, cosicchè massime nell'interno vela stessa devasi sempre dominare e continuare, per così dire, legge di forma fino alla loro sommità: mentre le moderne cupole, venendo appoggiate sopra basi quadrate od ottagone non for mano unità colla parte inferiore e lasciano disgustosi passaggi fra i sostegni e le volte, ed in certa guisa lo stato di violenza, vi osserviamo, non può a meno di disgustarci per la mancanza di solidità che presenta; mancanza, che il più delle volte non è soltanto apparente, ma reale. Furono queste le ragioni, che mossero varj architetti a non approvare l'uso moderno delle cupole, il quale se per una parte contribuisce, come si disse altrove, al pregio dell' edifizio nell' elevazione, e vi si ammira altresì lo sforzo dell' arte, che ha tentato di vincere la natura, non può sempre ammettersene l'uso, perchè non devesi anteporre il difficile al bello, massime quando trovasi all' utile congiunto nell' architettura. Ma tornando al Rosati sembrami poter dire, che quasi nel tempo medesimo, in cui trovavasi occupato nella fabbrica surriferita, dirigesse anche quella d' un' altra chiesa, che si erigeva in quei giorni in Macerata ad onore di San Paolo a spese del benemerito cittadino Vincenzo Berardi (19). Per quanto niun documento io abbia, che consolidi una tale conghiettura, pure avendo ragione tanto all' epoca in cui sorse, com' anche ad una certa ana logia nelle parti minute con l'altra dei Gesuiti, sembrami poterne a quest'artista attribuire il disegno. E qui è a lodarsi specialmente il sotterraneo a volta piatta ampio d'ogni lato e che ad unico sostegno ha dodici colonne doriche di circa otto diametri, con semplici piane membrature.

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Era anche nello scolpire buon pratico il Rosati, nel qual' genere meglio riusciva in cose piccole; i suoi ritratti in cera colorata si lodano del Baglioni (20) come quelli, che oltr' essere molto aggiustati furono similissimi; in far poi quest' effigie, (aggiunge lo stesso storico, grandemente seppe, e valse sopra tutti quelli che vi si dilettavano; e più anche avremmo a lodarlo, se di fresca età non avesse lasciato l'operare, e la vita. Ai due surriferiti artefici compagno fu in Bologna il Teatino Lodovico Antici di Recanati, il quale nel 1631 concorse in competenza di Bernardo Castignani da Modena a proporre un disegno per la nuova chiesa di San Bartolommeo di porta ravegnana, e forse sarebbe stato prescelto, se impensate cagioni non si frapponevano a sospendere l'erezione di detta chiesa, che solo ebbe luogo nel 1653 (21).

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Coll'avvanzarsi dei tempi era anche prevalsa la massima, che alle regole architettoniche non conveniva restarsi, come quelle, che strettamente legavano gl' ingegni e ne arrestavano il volo. Quanto una tale opinione nuocesse agli artefici è a rilevarsi dal contrario principio, cioè che non può ammettersi poter mai l' architettura nella sua essenza deviare dai precetti consentiti dall' universale degli uomini, e che solo può tenersi lontana dalle regole, arbitrarie, o piuttosto dettate dalla pedanteria, che dala ragione. È pertanto a rammaricarsi, che in questi tempi vivessero in Ascoli diversi architetti, i quali univano all'elevatezza dell'ingegno un gusto corrotto, tutti occupati nel dar prova di quanto valessero nelle fabbriche, i cui disegni ad essi si affidavano. Ognuno di questi vantava nobiltà di sangue, ed abbondanti dovizie, e a tali doni aggiungeva altrettanto di studio, e di fatica. Suno questi uomini rari, giacchè per lo più la ricchezza produce quasi sempre infingardagine e morbidezza, che sono corrompitrici dell'animo, ed alienano da ogni buon'opera, quando al contrario al dire di Boccaccio, la povertà esercita la virtù, e risveglia ingegno. Pel primo nomino un'Alcide Parisani Cavaliere di Santo Stefano, il quale oltre l'avere da se medesimo imaginato il

Tom. II.

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per

prospetto del proprio palazzo, fece anche l'altro la Chiesa delle Convíttrici del Buon Gesù; fabbrica, ch' ebbe il suo compimento oltre il 1630 (22), ne può dirsi nel suo stile assolutamente scorretta. Prese esempio da questo anche il fratello Emilio Cavaliere Gerosolimitano, il quale oltre l'architettura civile, la militare con molta perizia (23).

esercitò

Tien dietro ad essi Celso Saccocci, che trovavasi in Roma nel 1626 già istrutto nell' esercizio di queste arti, e fu ricercato dal Cardinale Francesco Barbarino (che il conobbe, allorchè fu al governo di Fermo ) onde si adoprasse a riparare concludentemente i frequenti debordamenti del Tevere presso Borghetto. Egli riuscì in quell'opera in guisa, che il Cardinale ne fu soddisfattissimo, e fu inoltre fortuna per Celso il renders elo sempre più benevolo. nominollo QuarQuegli infatti per la somma autorità che aveva, tier Mastro generale dei Soldati Pontificj, che combattevano contro il Duca di Parma, e dopo non molto fu destinato al governo della terra di Nettuno. I trambusti che soffrivansi presso la Capitale afflissero moltissimo l'animo di Celso, e perciò rassegnate onorificenze che godeva, tornò alla patria per rimettere in calma l'Italo spirito. Non appena vi giunse, che dovette passare per lia Maria d'Austria Sorella del Re di Spagna Filippo IV. promessa a Ferdinando III. Re d'Ungheria, e ciò a motivo della peste, che fieramente infestava le Città Lombarde, ed avendo prescelta la via di Napoli, fu in quest' incontro ordinato uno spazioso ponte sulle foci del Tronto, del cui disegno occupossi il Saccocci ed ot tenne ricche rimunerazioni.

norme

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Nel 1636 si propose in Ascoli l'edificazione della Chiesa pei Padri Carmelitani, e somministrandone Celso il disegno segui quelle che dagli Architetti de' suoi giorni si adottavano, e che meglio de' suoi compagni conosceva, come quello, che di recente aveva da Roma fatto ritorno. Un'intrecciamento di rette e di curve, un dimezzamento di frontoni è l'insieme del fabbricato, dove può dirsi che al pari di molti fosse sollecito alla bella semplicità sostituire una malintesa bizzaria.

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Ad ogni modo le sue virtù furono esaltate dagli scrittori municipali, ed in Roma venne ascritto fra gl' accademici di San Luca. Fece in patria molti allievi, fra quali il Lazzari, e l'Orsini nominano il Trasi, e di questo avremo occasione di parlare più innanzi (24). Al Saccocci furono coetanei gli architetti Emidio Ferretti, ed Odoardo Odoardi. Al primo fu allogato il disegno della Chiesa di San Venanzo, che a nuova forma si ridusse, allorchè venne destinata ai Padri della Compagnia di Gesù. La pianta è di croce greca, e nel mezzo s'innalza un catino. I pilastri sono d'ordine composito, e quelli delle navi minori jonici. Lo stile è trito, e niuno dei difetti del tempo risparmiò il Ferretti in questa fabbrica.

Di costui si ha pure una pianta topografica della Città d'Ascohei; carta, che presenta molta esattezza e precisione (25). L'estese, ene migliorò il concepimento L'Odoardi pubblicandone un'altra correndo l'anno 1680, poichè v'indicò anche ogni confine dello Stato Ascolano; e questa con un'epistola scritta ai 4 di settembre del medesimo anno intitolava a Mons. Giandemaria allora Governatore di Ascoli, e Commissario apostolico generale contro i banditi negli Stati Ecclesiastici (26). Siccome poi L'Odoardi, oltre l'essere geografo, era nell'architettura civile bene esercitato, della militare peritissimo, così di quest'ultima volle presentare un saggio pubblicando pei tipi del Salvioni d'Ascoli nel 1681 un libro, col quale si venne ad agevolare lo studio dell'architettura militare, e dedicollo al Duca di Parma cui aveva da giovanetto renduto servizio in qualità di paggio (27). Colse tale occasione il Duca per raccomandarlo al Principe Alessandro Farnese, che nominandolo suo Ajutante seco lo condusse in Dalmazia, ove nella fresca età di trentaquattro anni cessò di vivere nel 1685 con dispiacere del Principe, e di tutto il suo esercito (28).

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Ad ognuno dei surriferiti architetti fu L'Odoardi amicissimo, e concorse con essi alla direzione della nuova fabbrica, che gli Ascolani innalzavano ad onore di San Filippo, erigendosi oltre la Chiesa anche una casa di abitazione pei Padri dell' Oratorio (29); ma poichè le fondamenta eransi stabilite in luogo assai irregolare,

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