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perlocchè forzatolo a risentirsene chiamolli a sfida, ma non potendo vincere l'ardire dei più, rimase malconcio, e tornossene in patria, ove visse sempre tristissimo.

Ai molti discepoli, che seguirono il Roncalli, allorchè da Roma passò a Loreto se ne aggiunsero dei nuovi, tostocchè fissò colà la sua dimora. Frà questi fu di molto onore al Maestro Pietro Lombardi uno dei figliuoli di Girolamo già educato nell'arte dello scolpire, e con lui si uni l'altro suo compagno Pietro Paolo Jacometti, i quali già pratici nel disegno poterono presto addestarsi a colorire, ed adoprati nei lavori della cupola non rimasero inferiori agli altri condiscepoli (4).

Difficile oltremodo riesce oggi il determinare il merito di quest'opera troppo oscurata dal tempo, e più dal fumo dei cerei, e delle lampade, che ardono continuamente per onorare la casa di

Dio:

pure per dirne alcuna casa, avuta ragione a quei pochi resti, che si rendono visibili, devo convenire, che il Pomarancio per quanto fosse uscito da una scuola, che colla Bolognese non aveva alcun' analogia, pure e per la maestà, e convenevolezza delle figure, e pel franco, e risoluto pennello, ivi comparisce ai nuovi modi dei Caracci inclinato, specialmente in quelle imagini, che rimangono frà le finestre, le quali appariscono le più sugose, e le meglio condotte. Imperocchè confrontando con quelli della cupola i dipinti, ch'ebbe ad eseguire poco dopo nella sala del Tesoro, ove rappresentò frà grandi partimenti di stucchi le storie di Maria Vergine tramezzate da figure di Sibille, e Profeti maggiori del vero, diede in quegli affreschi un colorito sì vivo, e brillante, e donò a que' volti un rubicondo così appariscente, ch' esce affatto fuori da quel tono tranquillo della scuola Bolognese, raccomandato quan t' ogn' altra cosa necessaria a sostenerne la riforma. Che molti dei diffetti uniformi ai manieristi in questa sala si facciano palesi piucchè nella cupola, lo mostra ancora il giudizio, che ne diede, senz'alil Cav. Chiusole, che derivò quei dipinti dalla scuola di Federico Zuccheri, i cui seguaci già avvisammo quanto contribuissero al manierismo della pittura (5).

tro

sapere,

L'incertezza dell'operare è per lo più il risultato dei principj d'una qualunque riforma; giacchè non ben sicuri gli artefici della via, che devono tenere, ora propendono ai vecchj metodi, ora dei nuovi si fanno servili seguaci. Il Roncalli visse in quest' epoca, e non deve recar meraviglia, se i suoi dipinti nella diformità delle maniere che tenne, rendono sempre più chiara questa verità. Se ne suoi affreschi amava un colorito gajo, e brillante, al contrario ne suoi quadri a oglio non usò alcuna volta che le tinte più serie e le più moderate, e le accordava con un tono tutto placido, e quieto. Il paragone noi l'abbiamo nella sala stessa del Tesoro. Oltre le pittore della volta, fec' egli la tavola, che rimane nell'altare in fondo alla sala medesima, dove figurando un Cristo Crocifisso ebbe pel soggetto che rappresentava, a dar luogo con più di ragione al metodo solito, come diceva, ne suoi quadri a oglio; onde per questa sua aperta differenza è difficile il giudicare dell'originalità delle opere del Pomarancio. Un San Carlo genuflesso, che oggi collocato nel palazzo, era prima nell'altare, ove vedesi in mosaico il Sant'Ignazio, è dipinto sul gusto dell' altra tela del Tesoro. Quest' estrema facilità di cambiare maniera divenne sua caratteristica per modo, che mai fu a miglior fine diretta, quanto nei dipinti allogatigli dal Cardinale Antonmaria Gallo per una sala del suo palazzo d'Osimo.

Prese quivi il nostro Pittore a rappresentare una delle storic più adatte alla viva imaginazione d'un' artista. Il giudizio di Salomone fu il soggetto, che assunse, dando largo spazio alla maggior possibile espressione, ai sentimenti, e alle passioni, che nascono dalla qualità del soggetto. La maestà del Regnante, l'amore della vera Madre misto ad un eccesso di cordoglio, l'indifferenza con cui acconsente l'emula usurpatrice alla fatale sentenza, risaltano mirabilmente; in somma per una composizione ragionevole, per un' espressione vivace, per nn disegno corretto, e per un colorito armonico, egli giunse ad ottenere un' effetto soddisfacentissimo; per cui potrà sempre ritenersi quest'opera, come quella, che maggior mente onora il pennello di Cristofaro Roncalli (6). Le lodi, che

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ne ottenne lo indussero ad usare uno stile ugualmente purgato in una tela, che gli fu commessa per una Chiesa della medesima Città, ove rappresentando Santa Palazia, diede a questa Vergine tanto di grazia, e di amabilità, da non decadere al confronto con l'altra esprimente la stessa Santa, che Gian. Francesco Barbieri dipinse mirabilmente per una Chiesa di Monache in Ancona (7). Noi però non possiamo ora formarne da vicino il confronto; giacchè destinata nel 1809 ad abbellire la Reale Galleria di Brera in Milano non fu più riacquistata.

Lungo tratto di tempo rimase questo pittore nella nostra provincia, e le opere sue furono con sollecitudine richieste in molti paesi. In Ancona avevano i Mancinforti una sua Epifania, dove Lanzi criscontrò tanta forza di colore, che diceva sembrargli per questa it specialmente, che i Veneti avesse studiato. Per gli Eremitani nella Cappella dei Signori Beni di San Severino fece un noli me tangere, che vi fu chi lo suppose dipinto da Lodovico Caracci, tant'è la as forza, e l'espressione, che vi si scorge (8). Una Nostra Donna avenate ai lati l'Apostolo San Marco, e San Rocco, fece pure in questa Città nella Chiesa a questo Santo dedicata, il qual dipinto venne trasportato in Milano. Per Montolmo nella Chiesa principale un San Pietro, che riceve le chiavi da Cristo; per Sant' Agostino d'Ancona un San Francesco orante, e molte sue tele vedonsi pure in parecchi altri paesi della provincia.

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Nella generalità de' suoi quadri a olio scorgonsi i colori abbassati dal tono naturale, percui le tinte quali più quali meno sono molto degradate dal primo loro essere, e soprattutto sono cresciute oltre misura in intensità gli scuri. Non può negarsi, che l'olio non dia una grandissima facilità di pennello, e che non renda il lavoro più aggradevole di quello, che possa fare qualsivoglia altra materia. L'olio abbassa e mortifica i chiari, tanto che questi appariscono pastosissimi e carnosi, comunica profondità grandissima agli scuri, onde le opere acquistano poi quella forza, e quel rilievo ammirabile, che veggiamo. L'accordo dei colori s'unisce ottimamente; i lumi e le ombre riescono meglio combinate con

tutte le imaginabili gradazioni; spontanei vengono i passaggi infiniti da un' atto all' altro de muscoli, non già tratteggiando, ne punteggiando, ma in guisa, che non cosa dipinta, sibbene la cosa stessa fuor della tavola par di vedere. In mezzo però a questi rimarcabili vantaggi, conviene contrapor il difetto, che con tal metodo dagli antichi sconosciuto, noi non operiamo per la posterità, come si lavorò con l'encausto. Quei dipinti, che nella loro freschezza mostrano la grande utilità di questa scoperta, coll'avvanzarsi degli anni per la maggior parte si alterano negli accordi, si perdono i contrasti dei lumi, e delle ombre, e soprattutto crescono negli scuri; sicchè e contorni e disegno e proporzioni si deformano, e non dimostrano più la pittura, se è permesso il dirlo, con quella verità, vivezza, ed inganno ammirabile, che produce vano per avventura da principio. Finalmente i nostri colori, e le nostre mestiche vanno soggette talora a screpoli, e a scrostamenti. Queste circostanze ci farebbero desiderare, che per le migliori opere di tanti de' nostri Maestri si fosse mantenuto un metodo, che presentasse oggi quelle loro dipinture così distinte, come uscirono dal loro pennello. Ciò verificavasi nelle opere nate nella Grecia, perchè immuni da tutti questi inconvenienti. A Plinio fu concesso di vedere i dipinti, che ancora sussistevano nelle rovine d'Ardea e che furono eseguite, per quanto Egli dice, lungo tempo innanzi la fondazione di Roma, e noi vediamo tuttora avvanzi di pitture, che oltrepassano gli ottocento anni d'età in alcune parti d'Italia, e nell'Egitto.

Peraltro non può negarsi, che la necessità di far rivivere la dipintura all' encausto non si conoscesse anche ai nostri giorni, e non vi fosse chi ne teniasse nuova scoperta, proponendone saggi, e sistemi. Una dissertazione su ciò scrisse il Cav. Lorgna inserita nelle memorie dell'accademia di Parigi, ed il medesimo argomento trattarono il Cav. Caylus, l'Astorri, l' Abb. Vincenzo Requeno, Giuseppe Tomaselli, il Fabroni, il Francese Tigry, ed ultimamente Mad. Hooker, la cui memoria venne premiata dall'accademia di Londra (9). Superò tutti questi il Conte Antonio di Bojard Volo, che sebbene di estera antichissima origine, può dirsi

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Veneto per la non interrotta dimora, che fece in Venezia. Egli non cogli scritti, ma colle opere fece vedere, che l'encausto degli antichi poteva anch'essere migliorato tanto per la materia, in cui si dipinge, anteponendosi la tela a qualunque altra superficie piana, quanto col dare alle figure quel risalto, che mai si ottenne con l'olio; e ci rese certi che non sono soltanto i paesaggi, e gli ornati che soddisfono, come pensò Lanzi, ma che le figure ancora vi fanno grandissima comparsa.

La copia della Maddalena di Tiziano che espose il Velo, e che vedesi nella galleria Barbarigo dipinta all' encausto moderno, può fornire il migliore argomento a provare gli evidenti vantaggi, che si otterrebbero, quando metodo praticato dal Volo si fosse reso di pubblica ragione: lo che speriamo che da lui si faccia per l'amore, che porta alle belle arti e per l'onesto intendimento di rendere ad altri profittevole il di lui sistema (10).

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Ma tornando da dove ci dipartimmo, diremo giovevolissima la stazione del Roncalli in questi luoghi, ove oltre le molte opere, che lasciò, educò ancora molti allievi, e diede stimolo ad altri. imitare le cose migliori.

per

Si ridusse poi sul finire della sua vita a Roma, riportandovi largo premio di sue virtù. Era stato vestito dell' abito di Cav. di Cristo da Papa Paolo V., e ricco d'onori, e di meriti mori in quella Città il 14 del mese di maggio dell'anno 1626. (11),

Le

opere eseguite nel miglior stile dal Pomarancio contribuirono a correggere alcuni pittori, che avevano studiato nelle molte tele lasciate poco prima in questi luoghi da Andrea Boscoli Fiorentino, ne avevano potuto abbandonare quella trascuratezza di comporre, e di disegnare, che travedesi nel loro Maestro, il quale mentre oscurava qualche volta il molto suo merito, confermava ne' cattivi principj gl' imitatori, che poi ( com'è naturale ) divenivano più caricati.

Ad una di quelle strane combinazioni, che accompagnano alcuna volta la vita degli uomini, noi dobbiamo ripetere il lungo soggiorno di Andrea Boscoli in questa nostra provincia.

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