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All'arte dunque di miniare diresse le ultime fatiche una Giovanna Garzoni nata in Ascoli nel 1600, avendo da prima maneggiato il pennello in opere, che occupando più l'animo, accordano anche un merito più distinto all'artista. Saggio della primiera sua inclinazione all'arte, e dell'ottima riuscita, che da essa potevasi attendere, è la tela con una sacra Famiglia compiuta nella verde età di sedic'anni, e posseduta oggi dall' Ascolano Sig. Giacomo Galli. Questo è il quadro, che si fece a noi conoscere dal chiarissimo Cantalamessa (21) dipinto a olio, e di sufficiente dimensione; pochi altri potrebbero rinvenirsi, mentre essa presto cangiò maniera, per dedicarsi invece tolalmente alla miniatura, dalla quale conseguì onore, e larga mercede.

In Firenze, ove da prima si condusse, stabili specialmente la sua fama; imperocchè ammirata la virtù di questa donna da Cosimo III. fu ad essa concesso fuor dell' usato, di copiare in miniatura l'imagine di Nostra Donna della Seggiola, che male a proposito scrisse il Crespi essere stato quel dipinto comprato dopo la morte del detto Principe Cosimo (22). Piacque tanto questa copia, che gli procurò in seguito l'incarico di moltissimi ritratti della Famiglia Medicea, e de' Signori di quel tempo, per mezzo de'quali, come notano l'Orlandi, il Lanzi, e l'Orsini potette unire insieme un ricco valsente, acquistando specialmente molti luoghi di Monte in Toscana.

Sul qual genere di dipinture verificavasi nella Garzoni quanto disse Kotzbue nel suo viaggio in Italia » parlando dell' Angelica Kaufman, cioè, che le femine sono atte particolarmente a dipingere ritratti, mentre hanno dalla natura una specie d'istinto per leggere nelle fisonomie, e per scoprire i sentimenti dell'anima.

Nel mese di maggio del 1630 lasciò Firenze, e andiede a Napoli a tentarvi anche maggior fortuna, poichè per quanto questa assista, non si abbandona mai il desiderio, e la smania di averla maggiormente amica. Trovò a Napoli nel Duca d'Alcalà · Vicerè di quel Regno un valevolissimo protettore, e vi diede saggio della sua abilità per il detto Signore esclusivamente. Non è però a

tacersi, che in mezzo agli onori che riceveva nella Corte di tanto elevato personaggio, ella non dimenticò mai i forti debiti di gratitudine, che aveva in Toscana in special modo verso il Cavaliere Cassiano del Pozzo, uno de' più distinti letterati della Corte Medicea; oltre il tenere con esso epistolare corrispondenza, volle anche fargli dono d'un grazioso quadretto con San Giovanni Battista, direttogli a Firenze (23).

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Stanca di più rimanersi a Napoli, e più ancora di condursi da un paese all' altro d'Italia, come aveva fatto quasi fino a questo tempo e già ben provveduta di quanto poteva occorrergli per menare una vita comoda ed agiata, stabilì la sua dimora in Roma, ed ivi non più per guadagno, ma per amore all'arte continuò ne consueti esercizi di miniatrice, e v' ottenne tanta fama, che meritò venisse la sua effigie ritratta da Giovanni Battista Salvi da Sassoferrato (24).

Fu in questo tempo, che educò alla miniatura il suo concittadino Jannella, ma con esso non mostrossi sì virtuosa, come gli Scrittori Municipali la decantano, e noi già ne dicemmo a suo luogo le cagioni.

Fattasi amantissima dell' Accademia di San Luca donò alla medesima un libro di miniature in cartepecora, disegnate a penna, e quindi colorate; di queste particolarmente parlando il chiarissimo Misserini (25) avvisa, trovarvi tant' esattezza ne fiori, che vi ritrasse, vaghezza, e leggiadria nelle farfalle, veritü nelle frutta, e l'atto e la vita degli animali sì espressiva, che nulla lasciano a desiderare in questo genere.

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Non paga di questo dono volle anche soccorrere di sue sostanze l'Accademia, e venendo a morte nell'anno 1670 la fece erede di quanto possedeva. Per tanta beneficenza fu riconoscente l'Accademia alla nostra Garzoni erigendole nella Chiesa di Santa Martina un monumento in marmo col ritratto dipinto, dettandone l'onorevole epitaffio Giuseppe Ghezzi suo concittadino in allora Segretario dell' Accademia medesima, (26) e del quale avremo fra non molto a tenere discorso. Annoverò Ridolfi (27) frà le donne

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illustri nella pittura questa Garzoni, e noi vorremmo che delle donne venute in eccellenza in ciascun' arte, se ne celebrassero le virtù con molte lodi, conforme voleva si facesse Ariosto (28) sull' esempio di Plinio (29) ch' esaltò giustamente il valore delle antiche pittrici Timarete, e Lala. Ma a certe utili fatiche pare ripugni l'uomo in questo tempo, in cui più si cura il romantico e l'ideale, di quello siasi il positivo, verso al quale è chiamato chiunque imprende a scrivere storie.

il

Non mi è noto che miniasse, ma che a quest'arte fosse appassionatissimo un Giovanni Andrea Figoli della Terra di Massaccio, dimostra facilmente un di lui trattato sulla miniatura, che intitola documenti, e che lasciò inedito nel 1632 nella sua patria; questo trattato al dire di Menicucci (30) insegna con bel metodo, e chiarezza la maniera di preparare qualsiasi colore, e tutt'altro, che occorrer possa a chi voglia applicarsi a quest' arte delicata.

Erasi reso il secolo, che noi scorriamo, famosissimo il per genere di dipingere a paesaggio, che occupa con profitto anch' oggi l'operosità de' nostri artefici, e forse superiormente ad ogni altro metodo di dipintura si distingue. Vivevano ancora nelle opere i precetti di Claudio, e di Pausin, ed i migliori paesisti caminando su tali tracce toccavano meglio degli altri il loro fine. Voleva Claudio, a quanto racconta Giosuè Reynold (31), che la natura prendere non si dovesse tal qual' ella si affaccia, ma si dovesse invece accozzare più disegni tratti da belle scene, e da diverse prospettive: all'incontro si fece da Rubens, che troppo ligio delle località, riuscì in questo genere alquanto freddo, come apparisce la scuola Fiamminga, ed Olandese. Proseguendo su tale argomento mostrasi Reynold incerto nel giudicare, se sia buon partito nel paesista rifiutare o no tutti quelli che diconsi accidenti della natura. E qui cade in acconcio il riflettere, che Claudio non se ne servi, che di a cui rado, supponendoli forse traviamenti dello stile universale, unicamente mirava nella rappresentazione, ed anche forse per fuggire il pericolo di fissare l'attenzione dello spettatore a quegli

accidenti medesimi, e di rendere in tal guisa quasi inutile una certa taciturnità e quiete da esso giudicata tanto necessaria in questo genere di dipingere. Come altresì non sarà fuor di luogo l'avvertire, che in oggi alcuni de' nostri paesisti cadono in un difetto, cui non trovano certamente esempj ne in Claudio, ne in Pausin. Consiste nel far vedere la frasca troppo monotona, e minuzzata, con nocumento al grandioso della verità. La natura ritratta sotto si ristrette dimensioni non si mostra tanto minuta, tanto contornata, ma prende delle forme più sfumate, meno distinte. Conduce pertanto un tal difetto ad impicciolire gli oggetti, e mostra i loro quadri come sotto una lente, che rende i contorni risentiti, e percettibili più di quello si convenga alla grandezza, sotto cui sono rappresentati gli stessi oggetti, dal che poi nasce un'infinita dissonanza frà la prospettiva aerea, e la lineare.

La provincia della Marca nel tempo in cui viveva Gaspare Pausin ebbe di questo sommo artista un buon' imitatore in Domenico Giovanni Ferracuti da Macerata. La sua patria ha perduto è vero due saggi del merito di tale concittadino, ch'erano nella soppressa Chiesa di San Ginseppe, dove a bellissimi paesi furono aggiunte graziose figurine dipinte da Pier-Simone Fanelli (32); Tuttavia può mostrare quanto la provincia in questo genere avanzasse nei grandi quadri del detto Ferracuti, i quali vedonsi nel pa lazzo dei Sigg. Conti Devico in Civitanova e nella sala dell'altro in Macerata (33). Era costume di questo pittore il tenere un lume piuttosto stretto, per far meglio risaltare le cadute d'acqua, dove più che in ogn' altra cosa riusciva. Le acque infatti investite dal sole danno un fortissimo riflesso, ed altrettanto maggiore le acque rapprese dal gelo. Un' esempio ne porge nel suo libro la coltissima Marianna Dionigi (34) facendo vedere, che nei monti di ghiaccio della Svizzera esse producono l'effetto il più abbagliante.

A miglior consiglio di quello facciasi a nostri giorni nel dipingere d'ornato, operò Gianmaria Mariani d'Ascoli, servendo il Genovese pittore Valerio Castelli (35), il quale impiegava questo

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nostro Ascolano a riempir i vuoti, che rimanevano fra un gruppo e l'altro delle figure, ch' ei dipingeva nelle volte, e nelle pareti delle sale dei magnifici palazzi di Genova, con arabeschi, fogliami, ed altre cose di simil fatta. Imperocchè questo genere di pittura introdotto dagli antichi nell' adornate case, e dall' Urbinate nelle legge Vaticane, non servì che quale accessorio per rendere all'insieme più vaghezza, e così l'intese anche il dotto Winchelman (36), il quale su tale proposito lasciò scritto, che l'ufficio ordinario di tali dipinti è quello di riempire il luogo, e di coprire i spazj vuoti. Un esempio dell' abilità del Mariani nel genere su indicato è la sala del palazzo Balbi di Genova, dove gli ornati, che fece alle storie dipinte dal Castelli, sono pregevolissimi (37).

Di un pittore, che visse quasi sempre fuori della sua patria, non è maraviglia, se non si conosce opera alcuna nella provincia, ove nacque (38). È altresì poco noto presso noi il pregio di un Annibale Rotari d' Arcevia, che operando anch'esso in questo medesimo genere, fu il suo pennello per lo più adoprato nelle Chiese, e ne palazzi di Roma, dove visse lungamente, senza avere occasione di più tornare alla sua patria (39).

Prestando fede al Santini (40) un terzo ornatista potremmo qui annoverare non meno abile dei precedenti: ma quel Giulio Troili ch' egli ascrive fra Piceni è realmente di Spilimberto nel Ducato di Modena, e che toltosi dalla scuola di Guido, diedesi a cagione della numerosa famiglia a dipingere di quadratura, considerando questo un modo più facile, e sbrigativo: lasciò poi in fine di sua vita scritti i Paradossi per praticare la prospettiva, che uscirono in Bologna pei Tipi del Longhi nel 1683 (41).

Anche l'incisione all' acqua forte fu in questo secolo praticata in modo da ottenere i più felici risultati. I Caracci, e fra questi Agostino cooperò sommamente a far sì, che il tocco del bulino riuscisse tanto libero e franco, che il genio nelle stampe apparisse al pari di quello potesse ottenersi ne' dipinti a olio.

Frå i nostri, che a questo genere si applicarono, si trovano encomiati dai scrittori contemporanci un Gianfrancesco d'Ancona,

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