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Il primo è un Pietro de Petri, che l'Orlandi vuole Romano, altri Spagnuolo, ma la vera sua patria fu Premia terra del Novarese; adoprato nei dipinti della tribuna di San Clemente di Roma v'innestò alquanto dello stile Cortonesco. Maggiore stima avrebbesi meritato, e se non la conseguì, devesi più che ogn' altra cosa accagionare la poca sua salute, ed una somma verecondia, da cui sempre compreso. Virtù intrinsecamente apprezzabile, ma troppo nemica a coloro, che attendono fortuna, ed ai quali poco cale, che il mondo li dimentichi, quando il mondo hanno abbandonato (28.) L'altro fu Antonio di Francesco Amorosi da Comunanza d'Ascoli, che condottosi in Roma attese ne' suoi primi anni agli studj nel Seminario d'Albano. Fatto dall' età capace a conoscere e spiegare le vere sue inclinazioni, abbandonò gli esercizj, cui aveva fino a quel tempo applicato, per dedicarsi invece alle belle arti, e Giuseppe Ghezzi suo Concittadino ve lo spinse, e pose cura anche a diriggerlo, scoprendo in esso un genio adatto a rapidi e favorevoli progressi. Sotto la scorta di questo Maestro si rese sollecitamente perito, ed ottenne ancora opportune occasioni per presentare al pubblico i saggi del proprio valore. Civitavecchia fu il teatro, dove l'Amorosi ebbe prima che in ogn' altro luogo ad esporsi. La sala di quel Municipio è la scena ove comparve, e l'opera sua venne in tal modo lodata, che per essa si aprì la via a nuove ed interessanti intraprese. Figurò in una delle pareti di detta sala l' incontro, che fece il Magistrato a Papa Innocenzo XII., e nel muro di facciata dipinse a buon fresco la Vergine glorificata dagli Angeli, ed inferiormente Santa Firmina, ch'è la Patrona di quel luogo. Molte altre cose avrebbe ivi potuto lasciare, se atteso avesse alle inchieste, che gli venivano fatte, ma cbhe appena compiuta una tela con un San Benedetto, da collocarsi in una delle Chiese della Città, che a Roma tornò di nuovo, e giuntovi pose mano a parecchie opere commessegli mentre a Civitavecchia dimorava. II quadro col San Gregorio Nanzianzeno per la Chiesa di Santa Maria Egiziaca fu il primo suo lavoro; terminato che l'ebbe i Canonici di Santa Maria in Cosmedin gli ordinarono di replicarne il soggetto

per una delle cappelle della loro Chiesa, e riuscì in questo quadro a dare un bel carattere alla testa del Santo Vescovo, che poi colori con forza e risoluzione. Eseguì in progresso il San Francesco di Paola ora alquanto cresciuto di colore, per la Chiesa di San Rocco a riva del Tevere, e finalmente dipinse quello colla Natività di Cristo pel maggiore Altare dell' altra Chiesa di San Giovanni in Aino (29).

Ebbe però molto a migliorare il suo stile e la sua maniera, allorchè lasciate in abbandono le composizioni di soggetti serj elevati, diedesi totalmente a voler' essere nella pittura quello, che fu Teocrito nella poesia, riconoscendo il suo genio a questo genere specialmente inclinato. Se Pierleone Ghezzi aveva dato nel gusto pel ritrattare in caricatura persone anche di rango in un paese, in cui alla libertà della lingua piaceva ugual libertà nel pennello, l'Amorosi soddisfece non meno di questo suo compagno e coetaneo, prendendo a rappresentare il minuto volgo di Roma in atto di gozzovigliare per taverne e per campagne, spiegando ne' suoi quadri in pari tempo il suo talento nell'introdurre begli avanzi d'architetture, ameni paesaggi, e alcuna volta animali, ch'esprimeva con tanta verità, da non aver invidia ai Bassani ed al Castiglioni, che in questo genere fra gli Italiani possono dirsi quelli, che meglo operassero nel secolo XVII,

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Il pennello dell' Amorosi in queste pitture di genere risulta franco, risoluto, generoso; vibra le botte, tinge di macchie calde, colpi leggiadramente disprezzati; sicchè può dirsi, che le figure si lanciono spiccate fuori del quadro, e belli quanto quelli dei Fiamminghi sarebbero i suoi lavori, se il colore vi apparisse più lucido.

Non meno di Roma fece ricca di sue produzioni la provincia nostra. Orsini (30) ne vide in Ascoli presso le famiglie dei nobili Ridolfi, e Saladini, e lo Scrittore della guida di Perugia pubblicata nel 1818 loda un quadretto dell' Amarosi esprimente un garzoncello, che suona il liuto, e che possiedono in quella Città i Sigg. Borgia Montemellini (31). Vinta però è questa tela ed ogn'altra.

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che io conosca da un' opera, che all' Amorosi ascrissi per quanto ad altro pittore l'asegnassero i Signori Forti di Mogliano, che la posseggono. Figura il quadro una Villanella di quasi ordinaria grandezza intenta a prestare cibo a parecchi volatili. In così semplice soggetto spiegò il nostro pittore quanto di grazia, e di vaghezza poteasi. Si tenne ad un lume serrato da gagliardi contrasti, e dalla dissonanza stessa de' colori fece uscire un bell' accordo ed una giusta armonia.

Ad artefice, che aveva si bene conosciuto il vero partito da scegliere per riuscirvi con maggior profitto, sembrava che dovesse arridere la fortuna trattando soggetti, che come dissi, più degli altri soddisfono il comune; invece si mosse contro di esso l'invidia, incominciando i suoi emuli a porre in disprezzo le di lui cose, a sostenere che pittore di poca, o niuna vaglia potevasi quel reputare, che di simili treviali e basse rappresentazioni occupavasi, e che alcuna volta anche scorretto vi appariva, per cui a píena voce lo annunziavano incapace di opere grandi, ed indegno di far parte di tanti altri pittori di grido, che in Roma rimanevano. Fu sufficiente a nuocergli tutto questo, imperocchè non mancò alche ad onta di aver vedute e lodate le opere sue, cambiò

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di

parere, non perchè diversamente sentisse, ma perchè così da qualche altro maestro di nome aveva appreso. Furono inutili gli sforzi, che tentò l'Amorosi per riacquistare la perduta stima, e non gli fu sufficiente neppure il provarsi nuovamente ad eseguire dei lavori, che da quel basso e triviale, che i suoi nemici biasimavano, fossero dissimili. Fattosi perciò tristo e melanconico diedesi a restaurare i vecchi quadri, fra' quali narrasi, che a buon stato ritornasse il Sant' Andrea Avellino del Lanfranco esistente in Sant' Andrea della Valle (32). Aveva questo pittore numerosa famiglia, il sostentamento della quale venendo meno, restò in tal guisa oppresso l'animo suo che dopo poco tempo per dolore morì vittima dell' altrui invidia.

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NOTE

E DOCUMENTI.

Lanzi op. cit. Tom. II. pag. 235.

(2) 11 Principe Filippo Hercolani di Bologna versato in ogni genere di studi, e fra questi appassionatissimo di quelli che riguardano le belle arti, raccolse una quantità di Mss. inediti relativi a queste, e fra gli altri moltissime lettere autografe di pittori insigni, o di persone, che allo studio delle arti applicassero. Esaminati per cortesia di persona amica alquanti di questi Mss. vi rinvenni parecchie lettere autografe di Giuseppe Ghezzi dirette al Pad. Pellegrino Orlandi Carmelitano, e di esse ne trascrivo una, nella quale il Ghezzi parla di se stesso, e del Padre.

Al P. Maestro Pellegrino Orlandi Carmelitano.

» Promisi per il giorno di San Luca di mandarle la ri» chiesta nota di Professori nella pittura, e me ne trovo contumace, non per trascuraggine, ma per l'assenza di molti, ed an· che per la difficoltà di nominare il giusto tempo de' defunti. Or per non accrescere le mie mancanze si compiacerà V. P. ri » cevere per ora le infrascritte notizie, che quanto alle rimanenti sono già incamminate fra pochi giorni al compimento. Io Giuseppe Ghezzi nacqui alli 6 di novembre 1634 nella terra della > Comunanza, stato dell' Ilma Comunità d' Ascoli, della quale fui dichiarato Cittadino alli 13 febrajo 1698.

Mio figlio Pierleone Ghezzi nacque alli 28 di giugno - del 1674 di Giovedì.

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lo li primi principi della pittura gli appresi da Sebastiano Ghezzi mio Padre, che fu scolare del Guercino da Cento, ed ha fatte grandi opere nella Marca, essendo stato istrutto non solo nella pittura, ma inoltre nella scultura in legno, nell' architettura, ed Ingegnere, nel qual ministero fu accettissimo a tal segno, che sebbene abitante in patria, ad ogni modo d' Urbano VIII. fu ricercato, ed eletto revisore delle in tempo » fortezze dello stato ecclesiastico. Ebbe molte altre virtù, che lo resero cospicuo, stimatissimo, ma in fine non seppe sot» trarsi dal biasimo, che contrasse con l'Alchimia, a cagione ■ della quale lasciò povero l' erede. Questo dopo la morte del Pa» dre andò per studiare legge, e filosofia a Fermo, dove nel progresso di questi studj non abbandonò quello della pittura, e fattosi grande amico di Lorenzino pittore di quella Città, primario in tutta la Provincia riconobbe per l'affetto del

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Maestro un grande avanzamento. Compiti li studj si portò in Roma e mancatale l' obbedienza fece a modo suo, lasciò le leggi, ed abbracciò con studio rigorosissimo la pittura, e perchè dalla filosofia apprese quanto era necessario al pittore la teoria, per questa strada ha insegnato al figlio, ed è cagione, che vi s' incamini con molta facilità.

» Compatisca, se ho detto troppo di me, ma s' accerti, che ho fatto il racconto non per boria, ma acciò si sappia la stravaganza della natura, la quale a viva forza mi ha voluto pittore, avvegnachè le violenze per distornarmene siano state maravigliose, ed impossibili a citarsi; pure his non obstantibus eccomi pittore, ma pittore da poco - Sit nomen Domini bene■ dictum.

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Intanto s'accerti che sono sempre più cc. di V. P. mio Sig. e Pñe Pregio.

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» Roma li 2 novembre 1701. Umo Devmo Servitore Giuseppe Ghezzi.

(3) Orsini. Guida d' Ascoli pag. 246.

Cantalamessa

cit. op. pag. 211, il quale aggiunge, che

da Sebastiano furono anche dipinte le lunette del Chiostro dei Pad. di S. Agostino di Sarnano, in una delle quali ritrattò ugualmente se stesso, e scrisse il proprio nome.

(4) Orsini loc. cit.

Pascoli op. cit. Tom. II. pag. 200 Vedi la nota N. 2. (5) Vedi parimente la nota N. 2.

(6) Lanzi Tom. II. pag. 280.

L'Orlandi ( a pag. 249) vuole che il Primarj fosse anche eccellente nella musica.

Pascoli loc. cit. Tom. II. pag. 202.

11 quadro, che Lanzi ascrive a Lorenzino tiene alquanto della scuola Fiorentina.

(7) Maggiori Domenico

atque ornamentis Firmi 1789.

De Firmanae Urbis origine,

Anche l' Abb. Catalani nel più volte citato sno Mss. ✨ri portò la notizia, come estratta dal libro del Maggiori. Presso però Conte Alessandro Maggiori di Fermo esisteva il citato disegno del Chiari, il quale escindeva la notizia indicata.

(8) Orsini op.

cit. pag. 70 115 e 179.

(9) Lanzi op. cit. loc. cit.

Cantalamessa idem.

Colucci op. cit. Tom. XXIX. pag. 84. Il medesimo scrittore nel Tom. XVI. pag. 76. ricorda ancora un quadro del Ghezzi colla Vergine Annunziata come esistente nella Collegiata della terra di Castignano.

(10) Pascoli loc. cit.

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