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sembrava dovesse troncare ogni contrasto, ed il secondo prevalere senz' ostacolo; ma ognuna delle due scuole aveva un partito, e Sacchi lasciò in Carlo Maratta suo discepolo un sostenitore.

Era nato il Maratta in Camerano d'Ancona da parenti, che fuggendo le persecuzioni di Solimano, vi si erano non molto prima trasportati dalla Schiavonia. Non appena in questa provincia amenissima giunse la famiglia dei Maratta, che in Bernabeo fratello uterino di Carlo nacque il genio di coltivare l'arte del dipingere, a cui il bel cielo d'Italia chiama, e risveglia gl'ingegni. S'esercitò prima Bernabeo in Macerata, e da Macerata a Roma sollecitamente si condusse, dove avvertito, che anche il Fratello Carlo alle medesime discipline inclinava, veduti i primi saggi, che da Camerano gli si spedirono a Roma, il fece ivi venire, alla scuola d'Andrea Sacchi lo accomodò.

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Conobbe ben presto il Maestro qual merito potesse acquistare questo nuovo discepolo; era però necessario che abbandonasse le pratiche seguite in provincia, ove il solo genio lo aveva diretto, e si dasse invece a ritrarre dagli originali dei grandi Maestri, come quelli, che aprono facilmente la via ad un retto, e giusto operare; che il pennello infine per qualche tempo ponesse da un lato, e si contentasse d'adoprare la sola matite.

Questo metodo, che da alcuno si sarebbe chiamato minuto e nojoso, piuttostochè stancare la sofferenza di Carlo lo convinse, ch'era l'unico adatto a bene apprendere; quindi non l'abbandonò anche conoscendo, che la fortuna favoriva piuttosto in que' giorni chi con mediocre studio a franca e spedita maniera erasi dedicato; circostanza poco frequente nei Giovani che vanno a procacciarsi Sostegno con questa libera professione. I luoghi, dove la gloria di Raffaele Sanzio maggiormente trionfa, furono frequentati da Carlo, e trattenendovisi lungamente, andò copiando quanto quel Sommo aveva nel Vaticano specialmente dipinto; fattasi così con un non interrotto esercizio libera e franca la mano, e sicuro l'occhio, risolvette allora il Maestro, che poteva con profitto accingersi di nuovo a colorire; dipinte poi ch'ebbe alcune teste ne maravigliò, e

prese subito interesse, perchè l'abilità di questo suo discepolo fosse in Roma conosciuta.

Non omise pertanto di proporlo ai reggitori della Fraternita de' Falegnami, i quali dovendo esporre nella loro Chiesa di San Giuseppe a Campo Vaccino un quadro rappresentante il loro Patrono, a Maratta lo allogarono; ed esso dipinse il Santo Vecchio presente alla natività di Cristo; stabilendo con questo primo suo lavoro, che compì nell' Anno 1650 buon nome di se. A confermarne sempre più l'opinione concorse un Flavio Alaleona di Roma, che lo conobbe nello studio del Sacchi, ed ammiratane la buon indole presagì in esso i più felici progressi; avendolo poi giudicato fin d'allora per quel primo saggio capace a più interessante lavoro, gl'ordinò le dipinture, che amava si eseguissero per una sua Cappella Gentilizia in Sant' Isidoro; e così furono dal Maratta dipinti anche i laterali, le lunette, e le volte delle Cappelle di San Giuseppe, e del Crocifisso, imitando in queste cose le bellissime idee di Guido, di cui fu sempre passionato estimatore, come colui, che inclinava naturalmente alla diligenza, fed al gentile. A rendere poi sempre più completa la fortuna, che già cominciava ad arridere al novello artefice, si uni Gian Pietro Bellori; osservando questi le opere del Maratta in Sant' Isidoro cominciò a tributargli infinite lodi, che poi divulgate ovunque da un uomo, quale godeva giusta oppinione di dottissimo in Roma, e che alla corte del Sovrano aveva distinto collocamento, giovarono infinitamente a Carlo, e gli resero meno nocevoli le persecuzioni, che gli emuli non si stancavano di concitare contro di esso, e dei discepoli del Sacchi (1).

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L' applauso, che il detto lavoro ottenne nella capitale fece sì, che la fama del Maratta suonasse anche nella provincia, la quale fino da questo tempo imaginò d'acquistare col di lui mezzo maggior lustro, e splendore. Ascoli fra i primi paesi mostrossi sollecito richiedergli un saggio del suo sapere; e Carlo compiacendo i Monaci Olivetani, che amavano un quadro per la loro chiesa di Sant' Angelo Magno, spedì ad essi una Santa Francesca

Romana, la quale stà in atto di ricevere fra le braccia il Bambino Gesù dalla Madre Santissima, che vi figura sollevata in una nube, e al disotto si scopre un paese in lontananza ; questo quadro riesce alquanto freddo e debole nel colorito, ma facquista dall' altro lato nell' amabilità, modestia, e nobile carattere specialmente nella testa della Madonna; e siccome un tal pregio lo distinse in soggetti simiglianti, che piacquero tanto, così in Roma fu per antonomasia chiamato Carlo delle Madonne.

Alcun tempo prima inviata aveva alla principale Chiesa di Camerano altra bellissima imagine di Nostra Donna con appresso in atto supplichevole figurati i Santi Domenico, Agostino, e Monaca; quadro di cui ebbe a compiacersi Maratta medesimo, allorchè il rivide essendo vecchio, accertando gli astanti, che cosa migliotre non avrebbe in allora saputo eseguire.

Inopportunamente però Carlo continuato avrebbe a disimpegnare le diverse commissioni, che già riceveva dalle provincie, se prima adoprato non si fosse a stabilire maggiormente la sua oppinione in Roma. Il favore del Sovrano era in singolar modo a questo fine necessario, e ad ottenerlo contribui quel Bernino medesimo, che non poteva dirsi sicuramente l'amico dei sostenitori del Sacchi. Interrogato dal Pontefice Alessandro VII., qual' era fra i giovani studiosi della pittura quello, da cui potesse attendersi maggior profitto, rispose francamente, che da Maratta doveva aspettare Roma il mantenimento di questo vanto; il Pontefice se ne convinse quando chiamatolo a se conobbe in lui infinita istruzione nelle teorie, potendone ben giudicare, come Uomo dotto, alquanto istrutto. Non tardò quindi a servirsi dell'opera sua nei lavori, che si facevano nella Chiesa di Santa Maria della Pace, e gli fù allogato il quadro, che esiste in uno de' tre vani sotto la cupola; figurò in esso la visitazione di Sant' Elisabetta, esprimendovi la Vergine, che si sofferma nella soglia di un' antiporto in atto d'abbracciare la Santa, la quale si stende verso di Lei e l'accoglie seguitata da San Zaccheria. Su tal lavoro tenendo ragionamento l'Abate Lazarini (2), loda la diligenza del disegno,

e di esse

e l'accordo del colorito, ma osserva, che l'artefice non corrispose nella composizione, mentre per empire il quadro intromise delle cose inutili; infatti non si saprebbe intendere a quale scopo collocasse in un de' lati un gruppo di femmine, che non avendo relazione alcuna col restante del soggetto, non servono neppure all'azione principale. Potrebbe però dirsi da taluno non inverosimile alla circostanza del luogo, mentre rappresentandosi la storia nel vestibulo della casa, poteva avvenire, che vi si trovassero due Donne applicate in quelle faccende, a cui il pittore le destinò; ma è vero d'altronde esser questa appunto una di quelle azioni tanto generali, che nulla influendo al soggetto, debbano evitarsi, potendo entrare per la stessa ragione nella maggior parte delle rappre sentazioni.

Terminato l'anzidetto lavoro, a nuova impresa venne il Maratta invitato. Nella Pontificia Galleria del Palazzo di Monte Cavallo ebbe a dipingere a fresco la Natività di Cristo, di contro all'istoria di Giuseppe Ebreo, che contemporaneamente operavasi da Francesco Mola (3).

Nè qui arrestandosi Alessandro VII. dal protegger Carlo volle, che anche Siena sua patria venisse abbellita dalle di lui opere; quindi due tavole furono da esso per quella Città eseguite, le quali servono tutt' ora a maggior ornamento della Cappella eretta per la munificenza di questo Pontefice nella Chiesa di Santa Maria.

La morte di Alessandro avvenuta quando maggiormente favoriva il Maratta, non cambiò la di lui fortuna mostrataglisi propizia fin dai primi momenti, anzi lo seguì sempre nel progresso della sua carriera. Morto il Sacchi, il Cortona, ed il Bernino può dirsi, che la dittatura tenuta specialmente da quest'ultimo in Roma nelle arti del disegno, passata fosse in Carlo Maratta, il quale la mantenne senz' ostacoli dallo spirare del secolo XVII, al principio del XVIII. Non decadde tuttavia per questo la scuola dei manieristi, ma quella del Maratta acquistò maggior credito, sembrando in certo modo la conservatrice della nobile, e dotta pittura. Mostrava questo pittore entusiasmo per Raffaele, e sebbene

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provetto e principe fra pittori, non isdegnò di copiare alcune delle di lui opere più insigni del Vaticano; nel tempo stesso ritraeva i dipinti eseguiti da Guido in San Gregorio al Monte Celio, indi la Giuditta, e la Fortuna, i cui originali conservansi nel Campidoglio (4); di Caracci copiava la Samaritana esposta un tempo nel palazzo Oddi di Perugia, ed ora oltremonti, e di Giulio Romano traduceva la battaglia di Massenzio, che hanno i Mancinforti d'Ancona, ed altre cose, che per brevità tralascio. In tal guisa operando, sembrava si proponesse d'avvertire i giovani, che copiare tali maestri è utile ancora a coloro, che sono consumati nell' esercizio dell'arte. Non era però questo a mio credere il solo principale oggetto di tale occupazione. La scuola, da cui Maratta usci, se per una parte escludeva la negligenza, restringeva d' altronde le idee, e non avendo esso ottenuto dalla natura ne molto vigore di mente, ne energia di genio originale, mentre dipingeva con infinita diligenza, non aveva la virtù di dare alle sue produzioni lo spirito capace a scuoter l'anima di chi le ammirava, ne poteva altresì obbligare l'attenzione in alcuna di quelle singolarità, che sogliono moltissimi pittori possedere. Intendeva Carlo, ed adoprava tutte le regole dell'arte, e facendo un misto delle maniere di Raffaele, dei Caracci, e di Guido, che come diceva, រ៉ូ គ andava copiando, se ne formò una propria, il cui solo difetto è quello di non avere alcun difetto patente, ne alcuna singolare bel

non erano mai si

lezza; poichè le regole, ch' egli si propose,
costanti da poter produrre una cosa uniformemente originale nel
suo genere, ne perfetta sotto ogn' altro punto di veduta. Il suo
disegno pertanto non è mai energico, non mai decisa la sua espres-
sione; languido per lo più nel colorito, poca forza nel chiaroscu-

ro,

ed offuscato da un certo tono di nebbia, che allontana dal dipinto l'effetto ed il vigore della verità; può in somma concludersi, che tutto quello, che fece il Maratta non fu che forza d'industria; e così essendo, non potette mai andare tanto in là, quanto alcuno de' suoi modelli, e nulla aggiunse del suo all'arte del dipingere. Non erano però così considerate le opere di questo

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