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Furono questi dunque i poco felici risultati d' un' Accademia stabilita in un'epoca d'estrema decadenza, e nella quale non si seppe che imprimere una trista e monotona fisonomia a tutte le opere, che ne uscirono; condizione infelice particolarmente pei pittori, che vivendo fuori della Capitale, non potevano ricorrere neppure a qualche esempio, che avesse saputo meglio dirigerli.

Con tutto ciò non mancò ad Ascoli nel tempo stesso chi dià videndo le occupazioni frà i severi studi della giurisprudenza, e gli ameni e piacevoli delle umane lettere, e delle arti liberali, presentò alla patria una descrizione delle migliori opere d'architettura, pittura, e scultura, che ornano quella Città. Fu questi Tullio Lazzari, il quale intitolando, il suo libro · Ascoli in prospettiva — ebbe lode di diligente, e fu scrittore purgato, sempre in rappor ероса in cui viveva; la sola critica che per tale scrittura possa farglisi è quella comune a coloro, che scrivevano nel secolo XVII., quand'era quasi universale la fallacia assoluta d'ogni retto giudizio, e si prodigavano il più delle volte lodi a taluno, che non aveva dritto di conseguirle (14)

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Se nella maggior parte delle Città italiane s'avanzò lo stile introdotto dal Maratta, era naturale, che una più generale influenza ottenesse nella nostra provincia, da dove il capo scuola derivava. Se talun' Marchigiano a Roma conducevasi per dedicarsi alle arti del disegno, s'appressava in preferenza allo studio di Carlo, sicuro d'esservi amorevolmente accolto, ed auche distinto fra la moltitudine dei suoi discepoli, i cui nomi non si registrarono, a meno dei più meritevoli. Noi intanto noteremo frà questi un Pietro Candelara d' Ancona, del quale vedonsi due ritratti presso i Bourbon del Monte distinti Patrizj di quella Città. La franchezza, con cui sono dipinti piuttostocchè finiti, farebbe quasi dubitare, ch'egli uscisse dalla scuola Marattesca, quando non ce ne assicurasse uno scritto di Corrado Ferretti contemporaneo a questo pittore (15).

Ebbe patria e scuola comune col Candelara Niccola Morelli distinto pei ritratti di piccola dimenzione, e particolarmente lodato

per sette quadri che dipinse, rappresentandovi simbolicamente le arti liberali; opere che meritarono di essere incise, ed ottennero un' illustrazione, che uscì in Roma pei tipi di Antonio Rossi nel 1703 (16).

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È ricordato dal Bartoli un Pasqualino Marini da Recanati, il quale se non frequentò la scuola di Maratta, si fece però suo seguace cercando d'imitarne lo stile. Ne presenta un vero esempio lo stendardo, che dipinse nel 1697 per la fraternita del Crocifisso di Fuligno. Nell'imagine di Cristo spirante in Croce ebbe di mira le opere di Guido, e Guido come già si disse, fu più volte da Carlo studiato ; pel rimanente il suo colorito è vago a sufficienza, diligente il disegno, e questa sua fatica otterrebbe compiutamente lode, se i difetti del manierismo alcun poco non vi ro (17). Avanzato negli anni il Marini ritornò in patria, e le tele, che lasciò in Recanati sono sì deboli, che quasi non si 'giudicherebbero sue, se le memorie, che di esso ci rimangono, non ci togliessero da ogni dubbio. Un quadro col San Carlo nella Chiesa di San Filippo; una Santa Caterina in quella di Santa Maria di Castelnuovo; ed un Sant' Antonio, ch'ebbero le Monache di Santo Stefano, ci trassero a tale giudizio. Fu perduto colla soppressione della Chiesa il quadro, che fece pel maggiore altare della Collegiata di San Salvatore di Macerata, ov'erano figurati i Santi Leonardo, e Pietro Martire; come altresì vennero cancellate le dipinture, che da lui si eseguirono nel cenacolo del Collegio dei Pad. Barnabiti, allorchè quel luogo cambiò d'uso e di abitatori; credo poi che quest'opere non avvanzassero di molto le Recanatesi (18). Prossimo al compire la mortale sua carriera dipinse il ridetto Marini la gran tela colla Vergine concetta, e glorificata dagli angeli per la Chiesa di San Francesco di Montolmo. opera che non smentisse la scuola, da cni esso derivava, ma nel tempo stesso non nasconde una mano mal ferma che regge e conduce un peunello già stanco (19).

La superiorità ottenuta dalla scuola di Maratta non toglieva, che anche i Cortoneschi non cercassero di mantenersi in qualche

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riputazione. Ciro Ferri erasi adoperato a sostenerne lo stile, ed i suoi discepoli ritornando nelle provincie s' impegnavano di propagarlo.

Giuseppe Campeggi d'Ancona fu in questo nunero (20), e giunto in patria aprì una scuola, la quale ebbe il vanto di formare in Giuseppe Malatesta da Fabriano uno de' suoi migliori allievi, e le di lui opere si considerano tuttora, come le più prossime allo & stile del Berettini. Da questa maniera non sì dipartì neppure, allorchè dirigendosi a Roma, si rivolse al Cav. Giacinto Brandi, il quale benchè solito a non accogliere al suo studio che pochisissimi discepoli, pure scorgendo in Giuseppe un' indole docile e moderata, e una costante inclinazione a sempre più profittare nell'arte che già professava, ve l'ammise, e mostrò dell'impegno sia nell' istruirlo, sia in procurargli dei lavori, che provvedendolo del necessario sostentamento, non l'obbligarono a lasciare sì presto la Capitale, come altrimenti avrebbe dovuto per la strettezza de' suoi mezzi (21).

Quindi dopo aver dimorato qualche anno in Roma, se ne hallontanò richiesto dai Padri dell' Oratorio di Città di Castello, i

quali lo invitarono a dipingere affresco nella loro Chiesa il catino della cappella dedicata allo sposalizio di Nostra Donna, e compiuto quel lavoro, aggiunsero un quadro a olio di forma ovale da collocarsi nella cappella suddetta a Cornu Evangelii, dove replicò il soggetto già espresso nel quadro principale, variandolo però nella disposizione (22). L'opera fu lodata, e tanto per questa, che per altri lavori lasciati in Roma era già percorsa buona fama di lui nella provincia della Marca. Non credette però profittarne, non accettando alcuna commissione, deciso com' era di ritornare in patria, fondando le sue speranze ne' suoi concittadini, che in ogn'epoca avevono protetto gli uomini virtuosi: perlocchè poteva dirsi, che Fabriano era stata la culla dell'arte pittorica in questa parte della provincia picena. La sua fiducia non fù delusa; imperocchè ritornato nel paese natale concorsero a gara gli ecclesiastici, ed i privati a somministrargli opportuni mezzi, onde spiegando i

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suoi talenti avesse anche con che onorevolmente mantenersi. Da quanto si seppe di lui risulta, che fervido ed ingegnoso era nell'immaginare, e che il suo pennello non sapeva lungamente soffermarsi su quanto aveva con prontezza disegnato; dal che si conobbe essere migliore partito l' impiegarlo particolarmente in lavori, nei quali avesse a spaziare largamente il suo genio. Furono de' primi ad adoprarlo i Monaci Olivetani commettendogli una gran tela pel maggiore Altare della loro Chiesa, dove vollero espresso il martirio di Santa Caterina. Piacque il soggetto al pittore, e il di lui merito fece risalto in quest' opera per una ben' ordinata composizione, e per un corretto e risoluto disegno, non mancando il quadro, che d'un colore più gagliardo per meglio accomodarlo al carattere della rappresentazione: imperocchè privo il dipinto d'una forza sufficiente perdette nelle mezze tinte, ed i chiaroscuri v'appariscono alquanto confusi. Ai danni, ch' ebbe a soffrire quest'opera poco dopo compiuta, cedendo la volta della tribuna, riparò con molto sapere e diligenza

Padre Atanasio da Coriano Minore Osservante stanziato tuttora nel Convento di Macerata, ridonando ad essa la primitiva sua bellezza, e aggiungendovi alcune parti, le cui tracce erano assolutamente perdute: sepp' egli si bene accompagnarne lo stile, e la maniera, che per cosa di una sola età, e di un solo pennello comunemente si tiene. Io nomino questo venerabile Religioso a cagione di stima e di affetto, poichè alle più severe virtù sa unire, benchè grave d'anni, la pratica più costante dell' arte i modi più gentili nel parlarne, e nel

l'istruirne.

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Non era gran tempo che la Chiesa di San Biagio aveva of tenuto notabili miglioramenti, e solo mancava per ridurla a perfezione, che concorressero i Monaci ad ornarla di dipinture, le quali corrispondessero alla sontuosità di un tempio che racchiude le reliquie d'uno de' più insigni Patriarchi, che la Chiesa esalta fra' suoi Comprensori. Trovandosi in Fabriano Giuseppe Malatesta ragionevolmente i Monaci si servirono di lui per dipingere la cupola, ed i muri laterali al maggior' altare. I soggetti rappresentativi

furono le gesta di San Romualdo; e siccome grande fu il plauso che ottenne quest' opera, così grande fu ancora il rammarico, che se n'ebbe al sapere che per un fulmine avevono quei lavori grandemente sofferto. Per restaurarli ricorsero a Giovanni Loreti da Pesaro, del quale avremo a parlare più innanzi. Spirito e franchezza domina nelle altre dipinture eseguite dal Malatesta nella volta della Sagrestia della Chiesa dei Pad. dell'Oratorio, e nelle lunette che vi girono d'intorno, dove sono espresse le storie del Fondatore. Altrettanto forse potremmo affermare dei grandi affreschi da esso eseguiti per l'altra Chiesa di Santa Maria di Loreto fuori di porta Cervara, se si conservassero nel loro essere primitivo.

Ebbe in Moglie Giuseppe Malatesta Lucaria Cicchetti, C da questo matrimonio nacquero tre figliuoli Niccolò, Mattia, e Silvestro, i quali furono tutti educati nella pittura. Alle cure, che ne prese il Padre, essi corrisposero come lo dimostrano (a mio avviso) i dipinti lasciati nella tribuna della Chiesa di San Niccolò, dove oltre il Concilio Niceno espressero nel catino buon numero di Santi elevati alla gloria celeste. In tali lavori, che si dipartono alquanto dallo stile tenutosi comunemente dal Malatesta, io penso che questi giovani almeno operassero in ajuto del Padre già vecchio, prossimo al suo fine, cui soggiacque il dì 24 di agosto del 1719.

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Come il Campeggi frequentò la scuola di Ciro, nello stesso tempo s'istruiva in Roma Ubaldo Ricci da Fermo nello studio di Francesco Romanelli da Viterbo, uno dei Maestri, che più felicemente imitava la maniera del Cortona; allorchè il Ricci si riconobbe abbastanza esperto nell'arte, fece ritorno in patria, dove al pari del Campeggi cercò lo stile Cortonesco a preferenza di quello di Maratta; e fu si insinuante, che ottenne, può dirsi, d'aprire in famiglia un'accademia, la quale si mantenne in buona opinione fino al compirsi dello scorso secolo (23). I migliori quadri di Ubaldo furono nell'età sua più giovanile, mostrandosi in essi ancor fresco degli studj fatti in Roma, e per tali si giudicarono le tele coll' Epifania pel Duomo di Fermo, il San Felice ai Cappuccini

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