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concetto e meno ancora le consuetudini della mano,

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nominerò Francesco Civalli da Fabriano, il quale operando alcuni quadri per la chiesa dei Padri della Missione di Fermo, fece conoscere non essersi avanzato ne suoi studj più oltre della mediocrità, e per tal cagione non furono che circoscritte, e limitate le ordinazioni, che ottenne (16). Circostanza, che si verificò ugualmente in Giovanni Pirri, la di cui Patria si tace da Colucci, l'unico fra i nostri storici, che ne fece menzione, narrando di due quadri dipinti l'uno in San Ginesio per le Monache di San Giacomo, rappre sentante il titolare, e l'altro esistente nell' Abbaziale della terra di Barbara nell' Ascolano con l' Assunta; dicesi, che questo abbia qualche merito per la vivacità, e' sceltezza de' colori (17).

Converrebbe in fine illudersi per dar lode agli affreschi esprimenti più storie tratte dal poema della Gerusalemme del Tasso, che dipinse nel proprio Palazzo Celio Parisani Ascolano, e nelle quali se dimostrasi non privo d' ingegno, v' appare però mal for nito delle regole dell'arte (18).

che

Il Monaco Eustacchio Catanzani d' Arcevia fu l'unico, in questi luoghi sostenne con qualche riputazione la miniatura. La sua condizione di Religioso non gli permise d' esporre al pubblico che soggetti sacri, e per lo più dipinse nell' avorio Madonne, le quali appajono fredde nel colore, ma hanno il merito di un buon impasto (19).

Pel paesaggio godette opinione Carlo Foschi di Macerata, specialmente quando figurò burasche, turbini, bufere, e cose simili; decadde allorchè si volle far conoscere anche pittore di storie. 1 quadri, ch' eseguì nel 1771 per la soppressa chiesa di Santa Maria di Piazza di Recanati mostravano abbastanza non esser al caso di condurre la mano all' infuori di quel genere, a cui il genio il guidava. Se franco si manifesta il di lui pennello nel fosco delle arie, nello spumeggiare delle acque, e nel ritrarre arbori maestosi, di cui le ramose braccia empiano il vuoto dell' aere, altrettanto è timido e freddo nel comporre e dipingere figure (20). suppongo profittasse degli

Ad apprendere quest' arte

ammaestramenti di un Francesco Antonozzi, che Zani vuole di Ancona, ma che piuttosto opino nascesse in Osimo, e che in Ancona non si stabilisse, che nell' ultim' epoca del viver suo (21). I paesi dipinti dall' Antonozzi furono grandemente ricerchi nei primi anni di questo secolo, e l' erudito pittore Ignazio Hugford, che vivendo in Firenze aveva formato una ricca e bella raccolta d' oggetti d' arte fu de' primi a procurarsene l'acquisto.

Ebbe infine nome di buon paesista anche il giovane Giuseppe Bucciarelli di Castel Planio, il quale studiando in Roma nell' Accademia di San Luca, avrebbe maggiormente profittato, se la morte nol coglieva ne suoi più verd' anni (22).

Poco lungi da questi potrebbe condursi la narrazione dei cultori del paesaggio, giacchè pochi furono ad esercitarlo nella nostra provincia, come non abbondarono altrove, essendosi in tal ramo occupati piuttosto gli stranieri, che i nazionali, siccome erasi fatto nella migliore delle epoche precedenti. Che se in quelle giunsero all'eccellenza Claudio, Poussino, Vernet, oltre molti fiamminghi, in questa levarono grido Moore, Hachert, Vanloo, DuDenis, come veggiamo attualmente frà i viventi ottimi artefici di questo genere, che per la maggior parte non appartengono all'Italia. La qual cosa può spiegarsi per la curiosità, che maggiormente invoglia, e attira i stranieri a studiare, e ritrarre i bei luoghi Italiani.

cros,

Piuttosto dunque che a questo partito dedicaronsi i nostri con molta alacrità, e studio alla prospettiva; ed i Bolognesi n' ebbero gran vanto. Le invenzioni di Girolamo Genga tanto magnificate dal Serlio decaddero sotto certi rapporti al confronto di quelle di Ferdinando Bibiena, il quale fece conoscere, come senza l'ajuto di rilievi di legname, a cui dovette il Genga ricorrere nella costruzione delle scene del Teatro d'Urbino, potesse vincersi qualunque difficoltà di prospettiva, omettendo tali ripieghi, e luoghi anche ristrettissimi si potessero fare apparire grandi, e spaziosi (23). Il nome di Ferdinando si rese celebre in tutte le Corti, e molte Città procurarono di avere opere sue, come moltissimi il ricercarono

d'istruzione. Nominerò per il primo frà i Marchigiani Angelo Salvioni d' Ancona, il quale diresse molte feste, che si fecero per varie circostanze in Osimo, e specialmente furono di sua invenzione innalzate, e dipinte le macchine, che si eressero per celebrare la coronazione dell'imagine di Santa Maria del Glorioso in Sanseverino, della quale festività se ne fece una descrizione, pubbli cata poi in Macerata nel 1731. Un altr' allievo del Bibiena suppongo fosse quel Giovanni Ulisse Lucci di Fabriano, che sedici anni dopo il Salvioni si produsse parimente in Sanseverino, disegnando e dipingendo la macchina costrutta in occasione, che venne coronata l'altra effigie della Vergine invocata dei Lumi (24).

La quadratura altro ramo dell'inferior pittura non fu meno esercitata della prospettiva, ma con un gusto il più depravato, trovando in questa i pittori largo campo di spaziare il genio bizzarro in ghiribizzi, cartoncini, chimere, ed altre strane cose. Tanto più dunque si deve lode a quell'artefice, che a correggere si fece così fatte stranezze, e felicemente vi riusci. Mauro Tesi, per quello ne scrive Alessandro Calvi Bolognese pittore valente, e che fu poi anche Maestro delle di lui figliuole (25), parve fosse il primo, che imprendesse a studiare il sodo, e fondamentale della quadratura nè più celebri Maestri, e nelle opere che produsse lo espresse a maraviglia. Ma prima del Tesi era già al mondo Pio Panfili, nato nella Città di Fermo il 6 maggio del 1723, ed educato anch'esso nella scuola Bolognese. La rapidità de' suoi progressi nella quadratura si rendette manifesta per gli onori, che gli concesse la Città di Bologna, giusta estimatrice del merito. Imperocchè dopo avere ottenuto tutti i premj dall' Accademia Clementina, fece parte di essa, e frà cittadini Bolognesi lo ascrisse il Senato. I primi saggi del suo merito in quest'arte li diede in patria nei dipinti della sala del palazzo Municipale: e perchè quell'opera ottenesse il gradimento comune nè spedi in avanti un' abozzo a olio in Bologna, il quale veduto essendo dal Conte Algarotti, e dallo stesso Mauro Tesi il lodarono assai, e riconobbero nel Panfili un'artefice, che avreb be molto cooperato a migliorare il gusto in questo genere di

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dipintura. Compiuto che fu il detto lavoro, ritornò in Bologna, ove si occupò ad incidere le vedute di quella Città, le tavole in rame per la nuova edizione delle opere di Leon Battista Alberti, e i ritratti dei pittori della scuola di Lodovico Caracci; incisioni tutte, che gli allogò il tipografo Petronio della Volpe, e queste ultime nel voler riprodurre colle stampe la storia del claustro di San Michele in Bosco, scritta da Giampietro Zanotti. Non si era mai il Panfili provato nel bulino, e dietro qualche direzione, che gliene porse lo stesso della Volpe per farne pratica incise le tavole, che 2 sono annesse al compendio dell' Architettura di Giacomo Baroccio da Vignola; libro che venne a somma utilità della gioventù abituata fin' allora a studiare in edizioni scorrette. Mentre occupavasi di questi oggetti, fù chiamato anche fuori di Bologna per operarvi cose spettanti alla quadratura, ed alla prospettiva; cioè in Rimino, per dipingere il Cenacolo dei Padri Agostiniani, ed in Monte Giorper figurare nella volta della scala del Convento de' Padri Minoriti a chiaroscuro in varj riquadri più oggetti di prospettive, oltre mascaroncini, chimere ed altre cose vaghe, e gentili; ed è veramente a rammaricarsi che opera si pregevole veggasi ora a tal condizione ridotta da presagirsene non lontana rovina. In Fermo finalmente dipinse nel 1787 il soffitto della Metropolitana. In tutti questi lavori, come in ogn' altro del Panfili, campeggia quel fior d'eleganza, quell'armonia frà il solido, ed il vuoto, fra il liscio, e l'ornato, che tanto piace; e la franchezza, e la grazia onde sono toccati, non possono non rendere ammirazione a chiunque in sì fatte cose ha buon senso.

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e

Prima di compire il lungo corso della sua età nonagenaria volle il Panfili rendersi benemerito della gioventù studiosa del disegno, incidendo un'esemplare d'ornato assai pregevole (26). Mori in Bologna il 15 luglio del 1812, lasciando desiderio di se e ai giovani, di cui fu Maestro, e ai dotti e virtuosi, che l'ebbero ad amico leale: frà questi si distinse il chiarissimo Professore Canonico Filippo Schiassi, al quale piacque di rendere omaggio ancora alle di lui ceneri con un' epigrafe latinissima, come lo sono tutte altre di questo dottissimo Archeologo Bolognese (27).

Al pari del Panfili esercitarono nel finire del secolo quest'arte d'ornatisti i due Ascolani Alessio Moderati, e Giovanni Cappelli. Il primo dipinse in maniera lodevole a fresco, ed a tempera in varj palazzi della Marca, e dell' Umbria. Ebbe dottrina di disegno, e colori con vaghezza (28).

Il secondo si condusse in Perugia circa il 1780, chiamatovi a dipingere nel palazzo del Cavaliere Luzio Baldelli in occasione delle nozze di questo gentiluomo con una Baglioni. Avvenne in quel tempo, che alcuni amatori della patria amando di diffondere sempre più l'idea delle belle opere d'arti, che la rendono insigne, e produrre in rame gli stalli del Coro de' Benedettini in San Pietro, pieni di bellissimi intagli creduti d'invenzione di Raffaele, ei famosi dipinti a fresco di Pietro da Perugia, che ornano la sala del Cambio, diedero al Cappelli l'incarico dei disegni, e il primo rame degli affreschi, che venne alla luce nel 1793 potè meritare la dedica al Rè di Svezia. Fu di sua invenzione anche il disegno per la Cancellata della cappella del Sagramento nella Cattedrale di Perugia, e quivi restaurò molti quadri singolarmente nel palaz zo del patrizio Francesco Maria degli Oddi, presso del quale il Cappelli si ridusse negli ultimi anni di sua vita, e vi mori nel 1823.

Venne encomiato come disegnatore diligentissimo, e così infatti lo dinotano le cose, che di lui si vedono (29).

Furono questi ed altri ornatisti, che cooperarono a far rivivere anche le opere di Tarsia, e le idee che somministrarono si resero specialmente profittevoli ad Antonio Cesari d'Ancona, il quale figurò buon' artefice nei commessi di legname ch'eseguì nel coro dei Monaci Camaldolesi di Monte Conaro, ed in quelli che ornano la Chiesa di Santa Chiara di Monte Lupone (30); in quest'arte ebbe nome similmente Fr. Bonifacio Cappuccino da Came rino, che più cose operò in parecchie Chiese del suo ordine (31).

Così tutte le arti ritornavano a rifiorire in pari tempo, nè gli archeologi coll' illustrare, i Mecenati col proteggere, i critici col declamare restavansi un momento a fornire sempre più mezzi validissimi, che dileguassero le antiche abitudini, ed elevassero l' Italia

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